CASTELCIVITA E LE SUE GROTTE

… E fu un sogno… un sogno di visioni estasianti, di bellezze sempre nuove … E questi tre giovani, ebbri, come avvinti in un incanto, presi tutti da un fascino possente, andarono… Fino alla fine! Fino nell’imo di quelle tenebre profonde che mai luce aveva squarciato, fino a che un laghetto di acqua limpida ed azzurrina loro si paro’ davanti.

Queste le prime impressioni del dottor Nicola Zonzi, farmacista di Castelcivita, che insieme a Luigi Perrotta e Davide Giardini, nel novembre del 1927, tento’ di penetrare nell’ intimo delle visceri di questa spugna gigantesca, per svelarne i suoi millennari segreti. Le Grotte di Castelcivita, un complesso speleologico di indubbio interesse, situate alle pendici dei monti Alburni, in provincia di Salerno, a pochi passi dal fiume Calore, rappresentano un patrimonio, dal punto di vista naturalistico e geomorfologico, ancora non completamente valorizzato, con notevoli potenzialità inespresse.

Queste grotte, che, a detta degli studiosi, non hanno nulla da invidiare a quelle più famose, di Castellana, Frasassi o Postumia, anzi con queste ultime hanno particolari similitudini da un punto di vista strutturale, eppure hanno avuto una vita abbastanza travagliata, che non ne ha consentito un adeguato sviluppo. Uscendo dall’autostrada Salerno-Reggio Calabria, a Campagna, attraverso la S.S. 19 prima, e poi la S.S. 488,poi, per Serre e Controne, e fino al ponte Pestano, o di Spartaco, ci si inerpica tra qualche tornante tra ulivi e macchia mediterranea, non lasciandosi intimorire dalla catena degli Alburni che domina l’orizzonte.

La piacevole passeggiata si snoda in un paesaggio ancora incontaminato, e a mano a mano che ci si avvicina alla meta, c’è qualcosa nell’aria che lascia presagire come di lì a poco si possa incontrare una realtà fantastica, in un paesaggio surreale, fatto di concrezioni, stalattiti, stalagmiti, e tante altre migliaia di immagini, che l’occhio umano vede ma non riesce a registrare.

Un alone di mistero e suggestione ha sempre circondato le grotte, dette del Diavolo e se ne ha una prima descrizione in una pergamena del 1781; sono poi chiamate di Spartaco, dal nome del gladiatore che si ribellò all’imperatore Adriano, e che pare si fosse rifugiato da queste parti, poi Norce, dal nome della donna amata dal guerriero romano; poi Principe di Piemonte, in onore ad Umberto II di Savoia che venne in visita nell’agosto del 1932. Giovanni e Francesco Ferrara, due fratelli di Controne, che per primi il 7 febbraio del 1889, con due lucerne ed alcuni fiammiferi, incuriositi dalle dicerie popolari, vi si addentrarono, ma dopo pochi metri, per le esalazioni di acido carbonico, rimasero al buio per sei giorni in attesa dei soccorsi. Purtroppo, Francesco morirà sulla via del ritorno a casa, Giovanni rimarrà segnato per sempre.

Solo negli anni ’20 alcuni esploratori locali capeggiati dal dott. Nicola Zonzi, dall’avvocato Nicola Pansa e dal dottor Michele Trotta di Postiglione ripresero le esplorazioni, e solo nel 1925 il Touring Club Italiano promosse e finanziò una spedizione, affidandola alla Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie . A questa prima spedizione parteciparono Boegan, Redivo ed altri triestini, che studiarono i primi 500 metri di grotta, eseguendone un primo rilievo planimetrico .

Nel novembre del 1927 Nicola Zonzi, Luigi Perrotta e Davide Giardini riuscirono ad arrivare ad un primo laghetto.

L’entusiasmo suscitato dalle bellezze eplorate, portò all’ allestimento di una seconda e più accurata spedizione, alla quale parteciparono ben 25 studiosi, tra cui il professor Anelli e il dottore Boegan, quasi in concomitanza con il Congresso Geografico Nazionale di Napoli. I rilievi planimetrici sempre più precisi, uniti allo studio della geomorfologia, dettero nuovo impulso allo studio della flora e della fauna sotterranea, oltre alle ricerche paleoetnologiche e paleontologiche.

Da un punto di vista strettamente naturalistico e geologico possiamo dire che l’ingresso delle grotte è situato a 20 metri sul livello del fiume Calore e a 94 metri sul livello del mare, e la temperatura è pressochè costante, 18° circa. Percorsi pochi metri dell’attuale tratto turistico troviamo la Grotta del Guano, dove i primi esploratori dovettero fermarsi per il muro di escrementi di pipistrello che gli sbarrava la strada, ma che in seguito fu estratto per essere utilizzato come fertilizzante e, inoltre, per tracciare i primi viottoli all’interno della cavità.

Poco oltre si arriva alla Sala del Castello, ricca di concrezioni e di marmitte di erosione, di varia forma e colore. Proseguendo si incontra la Sala del Coccodrillo, dal nome di una concrezione che raffigura la testa del rettile, ma è ricca di altre formazioni calcaree, che prendono vari colori a seconda del minerale prevalente.

Più avanti troviamo i pozzi dell’acido carbonico, e poco dopo si arriva alla Madonnina, tra bianche stalattiti, alcune a forma di limone, che sembrano messe lì a bella posta in attesa della raccolta.

La forza di erosione dell’acqua ha permesso la formazione di bizzarre concrezioni come la bottiglia con la cannuccia , altre volte è la nostra fantasia a sbizzarrirsi dandoci immagini e sensazioni particolarmente suggestive. E’ il presepe a catturare l’attenzione del visitatore, potremmo definirlo una Castelcivita in miniatura, ed è il preludio ad una delle sale più belle e maestose delle grotte : la Caverna Bertarelli.

La sala, alta più di 40 metri, presenta una ricchezza di concrezioni senza pari, la vastità dell’ambiente, e le grandi colonne, ottenute attraverso un plurisecolare stillicidio, dalla congiunzione di una stalattite e una stalagmite, sembrano sorreggere il soffitto, circondato da altre formazioni calcaree più piccole, ma egualmente belle.

La Pagoda, imponente stalagmite, dall’ aria civettuola e orientaleggiante domina il proscenio, ed aggiunge al colore, alle forme, alle sensazioni, un tocco di profondo misticismo. Là caverne imponenti come basiliche, adorne di colonne, e parate a festa, qui merletti che sembrano fatti di spuma, guglie candide come di neve, e… obelischi …. e pinnacoli … e trine come intessute da dita di fate, … e un tempio addobbato dai marmi più preziosi, mistico e raccolto che invita alla preghiera, …e un velario fantastico … e cascate di brillanti , e… zampilli di perle… continua la descrizione del dott. Nicola Zonzi, che sembra venir fuori da un sogno, un sogno continuo e irreale, che si vive come in estasi profonda, in un godimento spirituale ininterrotto. Proseguendo è la volta dei Salami, delle particolari stalattiti collocate sulla volta , pronti per essere… gustati.!!! Oltre troviamo il deserto, una sala sfornita concrezioni, per mancanza di stillicidio, poi un’ampia zona franosa, fino ad arrivare alla zona del dromedario.

Alcune stalattiti e stalagmiti nere preludono alla Caverna Principe di Piemonte, che presenta un’interessante varietà di formazioni calcaree, tra cui si intravedono le concrezioni suggestive della Caverna Boegan, situate ad un livello superiore tra cui spiccano le Cariatidi ed il Picco della Guglia. Di lì a poco termina il tratto turistico, ma certamente la parte più bella ed incontaminata deve ancora venire. Indescrivibili sono le sue particolari bellezze, possiamo ricordarne alcune come la Grande Cascata, il Tempio, dove le concrezioni vanno dal bianco e trasparente alabastro della dolomia, al cinereo della Spada di Damocle.

Le Cortine Sonore, il Battistero con il suo altare ed il suo organo, ci portano ad un laghetto, che prelude ad un’altra meraviglia: il Ratto delle Sabine. A mano a mano che si procede, anche il pavimento si impreziosisce di concrezioni madreperlate, fino alla Terrazza Anelli, veramente incantevole e suggestiva. Dopo il Salto dei Titani, troviamo un tratto brullo con poche formazioni calcaree, ma ricco di frane, fratture, massi e cunicoli laterali, che preludono al lago terminale.

Emozionante è questo viaggio nelle viscere della terra, e, riportando le impressioni dei suoi primi esploratori, tra realtà e fantastico, tra colori e immaginazione, non possiamo non convenire che la grotta si erge a protagonista, è la perla di queste montagne, di questa ridente valle, racchiusa in una conchiglia, che è rappresentata dal paesino sovrastante, un borgo medievale abbastanza ben conservato, che con i suoi archi, le sue scale, le sue viuzze, sembra la prosecuzione naturale delle bellezze del sottosuolo, che ognuno di noi deve sapere cogliere ed apprezzare e non lasciarsi andare ad un letale qualunquismo.


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