“…. Erano con Lautrech in tutto quattrocento lancie e dodicimila fanti, né di gente molto eletta; ma dovevansi unire seco il marchese di Saluzzo, il quale camminava innanzi a tutti, le genti de' viniziani e le bande nere de' fiorentini, desiderate molto da Lautrech perché, avendo fama di essere fanteria destra e ardita agli assalti quanto fanteria che allora fusse in It alia, facevano come uno condimento [al suo esercito], nel quale erano genti ferme e stabili a combattere …..”(Francesco Guicciardini – “Storia D' It alia” – 1835)
Al seguito del Lautrec, vi erano capitani quali Pietro Navarra, che in quello stesso periodo si spinse in Puglia per riscuotere 80000 ducati (derivanti dalla “Dogana delle Pecore” che pagavano i pastori per passare dalla regione, diretti ai pascoli abruzzesi), fu a Lucera ed a Foggia con 10000 uomini, aggredì un colle vicino a Troia con 2000 archibugieri ed, infine, assalì Melfi (22 Marzo 1528) con i fanti veneziani di Camillo Orsini. Due attacchi terminarono con la morte di 500 uomini, che caddero sotto il fuoco degli archibugi; la notte il Lautrec fece giungere nuovi pezzi di artiglieria e giunsero anche i fanti di Orazio Baglioni. Gli abitanti tumultuarono ed il Caracciolo si ritirò nel castello con 1000 uomini: l'assedio terminò con l'uccisione di 3000 persone, compresi i soldati del presidio.
Con la presa della città e la conseguente strage da parte delle truppe francesi, la popolazione superstite cercò rifugio nei vicini boschi del Monte Vulture, nei pressi della selva dello Spirito Santo dove vi era (e vi è tuttora) una chiesa.
Il Caracciolo, preso prigioniero dai francesi, per salvarsi la vita, si schierò con questi. Ma gli spagnoli ripresero possesso della città e re Carlo V, dopo averla confiscata al Caracciolo traditore, il 20 dicembre 1531, per ricompensa di un reddito annuo di 6000 ducati d'oro, concesse la ”…fidelissima…” cittadina in feudo, con il suo vasto territorio, all'ammiraglio genovese Andrea Doria che aveva combattuto con successo per la sua causa e sostenuto le spese per l'allestimento dell'esercito, insignendolo del titolo di Principe di Melfi.
Il giorno dell'assedio viene ricordato come la “Pasqua di sangue” per l'elevato numero di vittime fra la popolazione (il Giucciardini parla di oltre 3000 vittime); i superstiti trovarono rifugio in montagna, nei pressi di una chiesa dedicata allo Spirito Santo.
La domenica viene riproposta la riconquista della città: dopo cinquanta giorni, nel giorno di Pentecoste, le truppe spagnole, coadiuvate ed incitate dalla popolazione, riprendono la città ed incendiano il castello nel quale bruciano i superstiti soldati francesi.