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odlaodla2
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21/10/2008 20
Inserito il 09/05/2011 alle: 23:05:24
Nell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 è scritto : Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Si può osservare agevolmente che la frase “anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento” è posta tra due virgole. Si deve trarre da ciò la conclusione che il riferimento al rispetto dei soli principi generali dell’ordinamento riguarda i provvedimenti contingibili e urgenti e non anche le ordinanze sindacali di ordinaria amministrazione. L’estensione anche a tali atti del regime giuridico proprio degli atti contingibili e urgenti avrebbe richiesto una disposizione così formulata: “adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento “. La dizione letterale della norma implica che non è consentito alle ordinanze sindacali “ordinarie”, pur rivolte al fine di fronteggiare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, di derogare a norme legislative vigenti, il che è possibile nel caso di provvedimenti che si fondino sul presupposto dell’urgenza e a condizione della temporaneità dei loro effetti. La Corte ha precisato, con giurisprudenza costante e consolidata, che deroghe alla normativa primaria, da parte delle autorità amministrative munite di potere di ordinanza, sono consentite solo se “temporalmente delimitate” e nei limiti della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare. La norma censurata attribuisce ai sindaci il potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione, le quali, pur non potendo derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, si presentano quale esercizio di una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico, genericamente identificato dal legislatore nell’esigenza di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. La Corte ha affermato, in varie occasioni, la necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente l’assoluta indeterminatezza del potere conferito dalla legge a una autorità amministrativa, che produce l’effetto di attribuire, in pratica, una totale libertà al soggetto o organo investito della funzione. Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa. Le ordinanze sindacali oggetto del presente giudizio incidono, per la natura delle loro finalità, incolumità pubblica e sicurezza urbana e per i loro destinatari, le persone presenti in un dato territorio, sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate, ponendo prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare e di non fare, che, pur indirizzati alla tutela di beni pubblici importanti, impongono, in maggiore o minore misura, restrizioni ai soggetti considerati. La Costituzione italiana, ispirata ai principi fondamentali della legalità e della democraticità, richiede che nessuna prestazione, personale o patrimoniale, possa essere imposta, se non in base alla legge. La riserva di legge appena richiamata ha indubbiamente carattere relativo, nel senso che lascia all’autorità amministrativa consistenti margini di regolazione delle fattispecie in tutti gli ambiti non coperti dalle riserve di legge assolute, poste a presidio dei diritti di libertà, contenute negli artt. 13 e seguenti della Costituzione. Il carattere relativo della riserva de qua non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale a un prescrizione normativa “in bianco”, genericamente orientata a un principio -valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini. Secondo la giurisprudenza della Corte, costante fin dalle sue prime pronunce, l’espressione “in base alla legge”, contenuta nell’art. 23 Cost., si deve interpretare in relazione con il fine della protezione della libertà e della proprietà individuale, a cui si ispira tale fondamentale principio costituzionale. Questo principio implica che la legge che attribuisce a un ente il potere di imporre una prestazione non lasci all’arbitrio dell’ente impositore la determinazione della prestazione. Si deve aggiungere che l’imposizione coattiva di obblighi di non fare rientra ugualmente nel concetto di “prestazione”, in quanto, imponendo l’omissione di un comportamento altrimenti riconducibile alla sfera del legalmente lecito, è anch’essa restrittiva della libertà dei cittadini, suscettibile di essere incisa solo dalle determinazioni di un atto legislativo, direttamente o indirettamente riconducibile al Parlamento, espressivo della sovranità popolare. Si deve, in conclusione, ritenere che la norma censurata, nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali del Governo, non limitato ai casi contingibili e urgenti viola la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualsiasi delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge. Si deve rilevare altresì la violazione dell’art. 97 Cost., che istituisce anch’esso una riserva di legge relativa, allo scopo di assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione, la quale può soltanto dare attuazione, anche con determinazioni normative ulteriori, a quanto in via generale è previsto dalla legge. Tale limite è posto a garanzia dei cittadini, che trovano protezione, rispetto a possibili discriminazioni, nel parametro legislativo, la cui osservanza deve essere concretamente verificabile in sede di controllo giurisdizionale. La stessa norma di legge che adempie alla riserva può essere a sua volta assoggettata, a garanzia del principio di eguaglianza, che si riflette nell’imparzialità della pubblica amministrazione, a scrutinio di legittimità costituzionale. La linea di continuità fin qui descritta è interrotta nel caso oggetto del presente giudizio, poiché l’imparzialità dell’amministrazione non è garantita ab initio da una legge posta a fondamento, formale e contenutistico, del potere sindacale di ordinanza. L’assenza di limiti, che non siano genericamente finalistici, non consente pertanto che l’imparzialità dell’agire amministrativo trovi, in via generale e preventiva, fondamento effettivo, ancorché non dettagliato, nella legge. Per le ragioni esposte, la norma censurata viola anche l’art. 97, primo comma, della Costituzione. L’assenza di una valida base legislativa, riscontrabile nel potere conferito ai sindaci dalla norma censurata, così come incide negativamente sulla garanzia di imparzialità della pubblica amministrazione, a fortiori lede il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giacché gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci. Non si tratta, in tali casi, di adattamenti o modulazioni di precetti legislativi generali in vista di concrete situazioni locali, ma di vere e proprie disparità di trattamento tra cittadini, incidenti sulla loro sfera generale di libertà, che possono consistere in fattispecie nuove ed inedite, liberamente configurabili dai sindaci, senza base legislativa, come la prassi sinora realizzatasi ha ampiamente dimostrato. Tale disparità di trattamento, se manca un punto di riferimento normativo per valutarne la ragionevolezza, integra la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., in quanto consente all’autorità amministrativa, nella specie rappresentata dai sindaci, restrizioni diverse e variegate, frutto di valutazioni molteplici, non riconducibili a una matrice legislativa unitaria. Anna Teresa Paciotti Tags: Diritto costituzionale
IvanoPP
IvanoPP
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Inserito il 11/05/2011 alle: 16:06:01
A tal riguardo assume GRANDE importanza la sentenza della Corte Costituzionale n. 115 del 04-07 aprile 2011 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale - 1ª Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 16 del 13-4-2011) di cui e' stato informato il forum (si ringrazia) e di cui si discute in

https://forum.camperonline.it/#...

Ivanoid="blue">

Modificato da IvanoPP il 11/05/2011 alle 16:07:48
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odlaodla2
odlaodla2
21/10/2008 20
Inserito il 12/05/2011 alle: 00:26:01
I POTERI CONTINGIBILI E URGENTI DEI SINDACI AL VAGLIO DELLA CORTE giovedì 28 aprile 2011 di GIUSEPPE SCUGLIA commento a Corte Costituzionale, sentenza n. 115/2011 depositata il 07/04/2011. pubblicata sulla gaz. ufficiale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui comprende la locuzione “, anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”.id="red"> Con la decisione in epigrafe la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui comprende la locuzione “, anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”.id="red"> La questione era stata sollevata dal TAR Veneto con l’ordinanza n. 40/2010 (cfr. i commenti pubblicati nei mesi scorsi su questa Rivista), a seguito del ricorso proposto dall’Associazione Razzismo Stop contro un’ordinanza c.d. “antiaccattonaggio” emanata dal Sindaco di Selvazzano Dentro. Il Collegio veneziano dubitava che l’attribuzione ai Sindaci di nuovi poteri di ordinanza, sganciati dal tradizionale limite consistente nella necessità di fronteggiare situazioni di emergenza (contingibili e urgenti), non fosse legittimo. In effetti, tali poteri erano stati esercitati dai Sindaci di tutta Italia in modo discutibile e a volte perfino stravagante, per regolare le più svariate fattispecie, facendo così risaltare le contraddizioni insite nell’esercizio di un simile nuovo potere locale in conseguenza dell’innovazione legislativa. In particolare, nel caso che ha dato origine alla vicenda, il Sindaco pareva aver esorbitato dai propri limiti istituzionali, invadendo ambiti che sono disciplinati, o devono essere disciplinati, dalla legge, in particolare dal codice penale, dal codice civile e dalle leggi fondamentali del diritto amministrativo. La Corte Costituzionale ha accolto in pieno i rilievi sollevati dal TAR Veneto ed ha riconosciuto che la norma censurata è illegittima in quanto contrasta quanto meno con tre articoli della Costituzione: l’art. 23, in base al quale nessuna prestazione, personale o patrimoniale, può essere imposta, se non in base alla legge, in rapporto agli articoli 13 e ss., che tutelano la libertà e la proprietà individuali; l’art. 97, che ha istituito una riserva di legge relativa per assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione, la quale può soltanto dare attuazione, anche con determinazioni normative ulteriori, a quanto previsto in via generale dalla legge; l’art. 3, principio di eguaglianza, in quanto la norma esaminata consente all’autorità amministrativa, nella specie rappresentata dai sindaci, restrizioni diverse e variegate della libertà individuale, frutto di valutazioni molteplici, non riconducibili ad una matrice legislativa unitaria. id="red"> In effetti, il “cuore” della decisione della Corte consiste nell’affermazione che il nuovo potere di ordinanza “lede il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giacché gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci. Non si tratta, in tali casi, di adattamenti o modulazioni di precetti legislativi generali in vista di concrete situazioni locali, ma di vere e proprie disparità di trattamento tra cittadini, incidenti sulla loro sfera generale di libertà, che possono consistere in fattispecie nuove ed inedite, liberamente configurabili dai sindaci, senza base legislativa, come la prassi sinora realizzatasi ha ampiamente dimostrato”. Insomma, il territorio nazionale non può essere frazionato in innumerevoli ambiti locali, in ciascuno dei quali il Sindaco esercita una sorta di potere “legislativo” ad efficacia territoriale circoscritta. Ci pare che, tra le righe, venga in considerazione anche l’art. 5: la Repubblica é una e indivisibile. Per effetto della decisione della Corte, avente valore costitutivo, tutte le ordinanze sindacali emanate in base alla norma decaduta sono divenute inapplicabili, con effetto retroattivo, fatti salvi soltanto i rapporti giuridici già esauriti.id="red"> Insomma il potere dei sindaci di emanare ordinanze, ha fatto una fine ingloriosa... la stessa del lodo Alfano id="green">
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