Inserito il 21/03/2007 alle: 23:23:53
Cassazione Civile Sentenza n. 6574 del 22-07-1996
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato l'8 marzo 1988 Bruna Radoni proponeva opposizione dinanzi alla Pretura circondariale di Belluno, sezione distaccata di Pieve di Cadore, avverso l'ordinanza ingiunzione in data 20 gennaio 1988, notificata il 9 febbraio 1988, del Sindaco di Auronzo di Cadore con la quale le era stata irrogata la sanzione amministrativa di L. 700.000 per violazione dell'art. 1 della legge della Regione Veneto n. 31 del 1984, per avere nel mese di agosto 1987 campeggiato con una roulotte per quattordici giorni, eccedenti le previste quarantotto ore, in zona non consentita.
L'opponente deduceva di essere titolare di diritto reale sul terreno nel quale aveva posteggiato la propria roulotte e prospettava l'illegittimità del provvedimento sanzionatorio per eccesso di potere, sotto il profilo dell'errata interpretazione della legge regionale.
Costituitosi il contraddittorio, con sentenza del 17 settembre - 23 ottobre 1991 il Pretore rigettava l'opposizione, osservando che l'art. 1 della citata legge regionale prescrive un divieto di campeggio valevole in ogni ipotesi di assenza della disciplina regolamentare locale, sanzionandone l'inosservanza in modo rigido, nell'ambito della potestà legislativa attribuita alle Regioni dall'art. 117 Cost. non solo in materia di turismo, ma anche di polizia locale urbana e rurale; rilevava altresì che il precetto normativo non pone distinzioni tra aree pubbliche e private e disciplina per connessione le c.d. soste occasionali, vietando in via generale e sussidiaria soggiorni con attrezzature da campeggio superiori alle quarantotto ore, senza stabilire alcun nesso tra l'esercizio imprenditoriale di attività nel settore turistico - ricettivo e la limitazione temporale delle soste con attrezzature da campeggio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Radoni deducendo un solo motivo. Resiste con controricorso il Comune di Auronzo di Cadore.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo di ricorso si deduce l'errore della sentenza impugnata per non aver rilevato che l'art. 1 della legge della Regione Veneto 3 luglio 1984 n. 31 è diretto a disciplinare, in attuazione della legge quadro per il turismo 17 maggio 1983 n. 217, unicamente le attività a carattere imprenditoriale e associazionistico che forniscano il servizio di ricettività turistica e non interferisce in alcun modo con il diritto dei singoli alla libera disponibilità dei beni di cui siano titolari.
Il motivo di ricorso è infondato.
Ed invero la lettura che in esso si propone del citato art. 1 della legge regionale è chiaramente smentita dal preciso tenore degli ultimi due capoversi dello stesso articolo, che nel rimettere alla disciplina dei regolamenti comunali "ogni altra sosta o soggiorno occasionale con attrezzature di campeggio, in forma singola o collettiva", ed in assenza di tale disciplina consentendo "solo soste occasionali e non superiori a 48 ore", fanno riferimento ad ogni ulteriore ipotesi di campeggio, estranea all'attività di imprese associazioni disciplinata nei precedenti commi nell'evidente presupposto che il campeggio stesso, comunque esercitato, costituisca un fenomeno attinente al turismo della Regione.
Il dettato normativo postula una puntuale definizione del concetto di "campeggio", il quale consiste - secondo quanto questa Suprema Corte ha avuto occasione di precisare (v. Cass. 1992 n. 2718, in motivazione) - nel vivere nel veicolo in sosta, ossia nell'adibire il veicolo stesso a proprio luogo di soggiorno e di riposo, con conseguente utilizzazione di ogni tipo di impianto e di attrezzatura in esso esistente.
È altresì da rilevare che la regolamentazione dell'attività di campeggio nei termini ampi innanzi indicati costituisce esplicazione della potestà legislativa spettante alla Regione ai sensi dell'art. 117 Cost., anche in relazione alle esigenze di tutela ambientale, paesistica, ecologica del territorio, di salvaguardia dell'igiene e di polizia urbana e rurale.
Il divieto generalizzato di ogni forma di campeggio per un tempo superiore alle 48 ore non consente peraltro di ravvisare un limite implicito all'operatività della norma nel diritto di proprietà o in altro diritto reale o di godimento sul suolo nel quale il campeggio è esercitato, ricorrendo anche in tale ipotesi le richiamate esigenze di tutela cui detta norma si ispira, in relazione all'intrinseca nocività di una prolungata attività dì campeggio fuori delle strutture consentite.
Né può trarsi argomento in contrario, come prospetta la ricorrente, dal rilievo che, disponendo la legge statale n. 336 del 1991 che non costituisce campeggio la sosta delle auto-caravan (e quindi dei veicoli a queste assimilabili), dove consentita, sulla sede stradale, "se l'autoveicolo non poggia sul suolo, salvo che con le ruote, non emette deflussi propri, salvo quelli del propulsore meccanico, e non occupa comunque la sede stradale in misura eccedente l'ingombro proprio dell'autoveicolo medesimo", non potrebbe sulla base di una legge regionale impedirsi la sosta di detti mezzi su terreni privati.
È invero evidente che le due normative poste a raffronto concernono materie del tutto diverse, riguardando la legge statale la disciplina (oltre che della costruzione) della circolazione e della sosta delle auto-caravan sulle strade, e precisando a tali fini (art. 2) le condizioni perché la sosta non si risolva in un'attività di campeggio, e per converso disciplinando la legge regionale il turismo e la pratica dì campeggio, secondo il significato innanzi precisato.
La sentenza del pretore di Pieve di Cadore, che ha affermato la legittimità dell'ordinanza-ingiunzione opposta - una volta ritenuta come accertata la protrazione dell'uso della roulotte, secondo la sua destinazione, per un periodo di quattordici giorni, eccedenti le quarantotto ore consentite - si sottrae pertanto alla censura formulata.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in L. 103.400, oltre L. 800.000 per onorario.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I° sezione civile l'8 marzo 1996.
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 1996.