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Nella spianata sabbiosa, dove tra sparse dune i cactus proiettavano le loro esili ombre, l’uomo stava ormai raggiungendo il suo limite.
I piedi, trascinati a fatica, non lasciavano più nette impronte ma solamente solchi indefiniti.
La camicia e i calzoncini che normalmente avrebbero dovuto essere appiccicati al corpo per via del sudore, gli sventolavano attorno mossi da un’aria secca e rovente che aveva ormai prosciugato tutti i suoi liquidi.
Non camminava più in modo eretto ma spesso incespicava tra la sabbia e cadeva sulle ginocchia sbucciate e incrostate di sangue.
Appoggiato sulle mani cercava di deglutire a fatica quel pastone orrendo di sabbia e saliva che non riusciva neppure a sputare mentre la lingua, gli sembrava ricoperta di spine sottili.
Ansimante a terra, nella sua ennesima caduta, stava cercando di ritrovare le forze per rialzarsi e continuare il cammino.
Si passò una mano sul viso cercando di ripulire gli occhi, cementati in due strette fessure circondate di cristalli di lacrime secche, mentre con l’altra si puntellava al suolo.
In quella scomoda posizione, resa precaria anche dal suo stato di estrema prostrazione perse nuovamente l’equilibrio e si ritrovò ancora una volta con la faccia al suolo e, nello stesso istante perse i sensi.
O così gli sembrò, non seppe dire se era passato del tempo e quanto, ma cominciò a muovere una mano tra la sabbia cercando di trovare un appiglio per risollevarsi.
Stranamente, le sue dita stavano toccando qualcosa di insolito, forse era la sua mente a giocargli qualche scherzo, la sua mano stava toccando qualcosa che il suo cervello non decifrava, sotto di lui c’era solo sabbia e terra, fili di erba secca e sassolini spigolosi, non poteva esserci nulla di così liscio.
Aveva caldo, sete, una sete talmente potente che non riusciva a concentrarsi.
I suoi occhi non vedevano nulla e la sua mano continuava a toccare.
Adesso gli oggetti erano molti di più, la sua mano continuava a risalire lentamente verso il suo viso tastando il terreno e sentiva oggetti lunghi, sottili e molto lisci, adesso toccava qualcosa di nodoso e contorto, che poteva rassomigliate ad una collana di grosse perle attorcigliata.
Il suo braccio si era disteso, adesso era quasi perpendicolare al suo viso e la sua mano stava toccando una specie di liscio bastone con alcuni rametti alla sua estremità, i suoi occhi ancora rifiutavano di aprirsi, il riverbero del sole era immenso e il suo cervello ancora, si rifiutava di decifrare.
Sapeva di essere svenuto un’altra volta, le forze lo stavano abbandonando, aveva perso la cognizione del tempo, si stava chiedendo se quello sarebbe stato il suo letto di morte.
Si mosse faticosamente, in quella posizione prona allungò di più il braccio fino a portarlo lentamente sopra alla testa e toccò ancora qualcosa, di liscio, di tondo, un pallone…una palla…
La mano vagava e tastava…,che bella palla liscia…,com’è liscia…,con un buco…,due buchi…,i denti…!
Aprì di colpo gli occhi, l’accecante luce del sole gli fece vedere per un attimo tutto nero ma, in pochi secondi venne accolto di nuovo nel mondo dall’accattivante sorriso di un teschio.
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