Inserito il 02/04/2013 alle: 17:47:09
Era da un po’ che avevo voglia di scrivere di questa città in cui, una ventina di anni fa, più o meno, ho vissuto per 12 lunghissimi e brevissimi mesi.
Era la metà degli anni ’90. Arrivavo il lunedì mattina dall’aeroporto di Linate (qualche volta la domenica sera) a Fiumicino e ripartivo il venerdì sera.
Talvolta, complici problemi meteo su Milano (nebbia) o agitazioni del personale di terra e/o di volo (Alitalia), restavo anche per il week end.
La malinconia per non poter rientrare in famiglia era mitigata da quello che Roma mi offriva.
Alloggiavo in Viale della Conciliazione.
“Checcefrega Decimo?”.
Sì, in effetti avete ragione… smettete pure di leggere tanto questo non è un racconto da ridere. E’ un mio personale e piccolo tributo a una città che ho amato e odiato e che ancora oggi amo e odio.
Una città che mi ha adottato per un anno, che mi ha trattato bene e che mi ha fatto *********male.
Credo di averla fatta in@a77are anche io ma quando ci siamo salutati quel 28 dicembre di tanti anni fa eravamo entrambi tristi.
Ci tornai ancora molto spesso negli anni successivi ma, purtroppo e per fortuna, andavo e venivo in giornata… raramente mi sono fermato un paio di notti e, quando l’ho fatto, ripartire era un po’ più difficile perché Roma è una Mignotta fija de na mignotta.
E’ sensuale e sessuale allo stesso tempo.
E’ una città che “ti scopa” ma è anche una città che fa “l’amore” con te.
E’ unica, piena di contraddizioni, la peggiore che abbia mai visto e insieme la più bella di tutte quelle che ho visto e vedrò.
Ci sono tante ‘Rome’… credo che il numero sia infinito come è infinito il traffico sul raccordo anulare. Io ne ho viste alcune. Le ho ‘viste’ ascoltando le parole di chi ho incontrato… ognuno mi ha dipinto la ‘sua’ Roma.
Io, però, ho la mia.
Ho preso tanti taxi da Fiumicino e per Fiumicino e tanti ne ho presi a Roma per andare… a Roma! Sì perché Roma è tanta. Andare da Via della Conciliazione alla zona di Forte Boccea è un ‘viaggio’.
Ed è stato un Tassinaro a svelarmi il segreto per provare a conoscerla…
“A Dottò nun ce provi… a cartina è mejo se sa a fuma… se deve perde pe conosce Roma”.
In effetti fu il miglior consiglio che ricevetti ma in quel momento da ‘milanese’ sorrisi e pensai… “Come no. Le cartine delle città le producono per passione.”
Dopo un paio di giorni misi in pratica il consiglio del Tassinaro.
Me ne stavo come un pirla con la cartina in mano cercando in tutti i modi di far coincidere ciò che mi mostrava con quello che vedevo. Avete presente quando ‘girate’ la piantina tra le mani nel disperato tentativo di capire non tanto dove dovete andare ma dove siete? Ecco… uguale.
Roma è’ lunga e larga e se sei di Roma rischi di perderti. Se non sei di Roma ti perdi di sicuro. Però ti ritrovi sempre. Roma ha un fiume e quello ti aiuta parecchio.
La cartina la buttai quando, pensando di essere nel ‘settore’ D5 scoprii, da informazioni ricevute da una gentilissima ragazza americana, che mi trovavo nel ‘settore’ H1.
La piantina non aveva colpe se i suoi quadranti non erano di mio gradimento ma non potevo buttar via i miei neuroni.
Di solito smettevo di lavorare intorno alle 17.00 ma due giorni a settimana smettevo alle 13.00.
A volte tornavo in residence a lavorare per il giorno dopo, altre volte ci tornavo solo per cambiarmi e poi andavo a perdermi a piedi per Borgo Pio… uno spettacolo di botteghe di cornici (si sentiva odore di legno, colla e smalti a distanza di metri), negozietti di articoli sacri artigianali, di sartorie per religiosi, di piccole macellerie e di piccoli bar con due sgabelli di tipo diverso appoggiati a muri antichi.
E poi i gatti… ma quanti gatti ci sono a Borgo Pio.
Poi entravo nello Stato della Città del Vaticano.
Ho visto piazza San Pietro in tutte le stagioni e in tutte le stagioni è bellissima ma alle due di notte, a dicembre, con l’abete donato da qualche stato nord europeo non ha eguali.
Polizia, Carabinieri, Agenti in borghese e pochissimi passanti… sembrava un presepe moderno.
Foto ne ho fatte poche ma i ricordi sono ancora nitidi. Non saranno digitali ma se riuscissi a rendere a parole quello che ho visto li potrei osservare in 3d senza occhiali.
Se non ero troppo stanco andavo a Castel Sant’Angelo. I lampioni con la luce gialla ti permettevano di immaginare come poteva essere quella zona una secolo o due prima.
‘Gente’ con la spada, ‘gente’ in carrozza, ‘gente’ in catene.
Per un milanese della mia età era difficile vedere Roma e non ‘sentire’ in sottofondo l’Albertone Marchese del Grillo e il suo vocione oppure la ‘Sora Lella’ o, meglio ancora, immaginare il faccione da rospo in amore di Aldone ‘Big Mountain’ Fabrizi.
A me prendeva così. All’inizio mi sembravano stereotopi di cui liberarsi ma poi compresi che se quei visi e quelle voci mi avevano raccontato Roma in quel modo qualcosa di vero doveva pur esserci.
Non cercavo di visitare la Roma turistica e in questo modo ho scoperto una Roma ‘nascosta’.
Ho scoperto piazzette mozzafiato incastonate in un cerchio di case antiche, fontane e panchine in pietra sbeccate che non saprei mai più ritrovare perché ci giungevo da ‘lost in Roma’.
Me le gustavo, mi gustavo i giardini, le aiuole, i cancelli e i portoni.
A volte il freddo della notte mi cacciava e altre volte il tepore delle notti di primavera mi faceva quasi appisolare sulla pietra come fossi un senza tetto.
Ho incontrato Poliziotti che fermavano la ‘volante’, puntavano il faro e uno mi chiedeva i documenti mentre l’altro lo copriva. Due domande, una battuta, qualche volta una sigaretta e una chiacchiera più lunga e poi ognuno per la sua strada con la sola differenza che loro sapevano dove andare mentre io non sapevo neppure dove mi trovavo.
Ho incontrato mignotte curiose, gentili e annoiate. Loro erano lì per lavoro, io per ****eggio. Le due cose non necessariamente erano in conflitto e quindi qualche chiacchiera poteva anche scapparci ma… come dire… loro erano molto brave a mettere in mostra la ‘merce’ e io un potenziale cliente portato allo ‘sciopping’ compulsivo per cui non mi sono mai fermato più di tanto.
Roma ti cambia le abitudini, riallinea le priorità dei tuoi bisogni primari e le forgia a sua immagine e somiglianza. O fai come ti dice lei o ti rende la vita impossibile.
Ho visto la Roma del ‘romano’ (pochi) che odia la sua città ma non vivrebbe da nessuna altra parte. Ho visto la Roma del romano/abruzzese (tanti) che ama la sua città ma se potesse andrebbe altrove.
Dove ti giri trovi e vedi una Roma diversa da quella del giorno prima perché quella strada che ieri era aperta la traffico oggi è chiusa… come mai?
“Lavori Dottò… stanno a lavorà.”
In effetti vedi i cartelli ‘lavori in corso’ ma non vedi nessuno che lavora…
“Hanno messi i cartelli Dottò… domani iniziano a lavorà.”
Il giorno dopo i cartelli non ci sono più e non si è visto nemmeno chi doveva lavorare ma… forse hanno lavorato di notte.
E’ l’unica città al mondo che ha le corsie per gli scooter… non sono segnate dalle strisce stradali ma la vedi perché, a cavallo tra una corsia e l’altra viaggiano gli scooter.
Di solito sono in fila per due per ogni senso di marcia.
A Roma la precedenza non te la danno… te la prendi.
Un Tassinaro mi ha svelato come, secondo lui, ci si muove a Roma; sia che uno viaggi in auto, in scooter o a piedi…
“Dottò, nun deve aspettà che qualcuno la faccia passà… nun deve fà ggesti… nun deve proprio guardà… passi e bbasta. Si vedono che guarda prima de attraversà ‘sti fij de ********** nun se fermano… se gguarda da nartra parte vada sicuro Dottò… frenano!”
Un’altra cosa che per me fu una sorpresa erano gli orari per andare a cena. Le prime sere uscivo dall’appartamento verso le 19.30… avevo alcuni ristoranti che mi erano stati segnalati da colleghi di Roma nelle vicinanze in modo che potessi andarci a piedi.
Questi colleghi non mi avevano però avvertito che nei ristoranti di Roma alle 19.00/19.30 cenano i cuochi e i camerieri… i clienti non si vedono prima delle 21.00.
Inevitabili le figure da Pirla… io entravo e vedevo la tavolata del personale… i cuochi con pantaloni e magliette bianche e i camerieri con pantaloni neri e camice bianche… all’inizio non capivo ma dopo un paio di ‘entrate trionfali’ mi fu spiegato che sebbene aperti, i primi clienti arrivavano verso le 21.00…
“A Dottò… se però lei è Inglese o Amerigano se po ssedè.”
“No, sono milanese ma… ripasso più tardi.”
“Milanese? Allora venga Dottò… Inglese o Amerigano o milanese… va bbene.”
Erano gentili ma si vedeva che mi prendevano per il ****.
Quanti ricordi che ancora adesso mentre scrivo si risvegliano e tornano alla memoria… come quella notte che fui svegliato di soprassalto da colpi alla porta.
Era la polizia che era stata chiamata dagli altri inquilini spaventati… mi chiesero se andava tutto bene, se ero solo in casa e se potevano dare un’occhiata.
Io, mezzo addormentato, non capivo bene cosa cercassero ma risposi…
“Sì per tutte e tre le domande… però guardate che il sequestro Moro si è concluso tragicamente e anche da un bel pezzo…”
Non parvero gradire la battuta… uno rimase con me e l’altro ispezionò la casa. Arrivato in cucina gli scappò un… “Ma che *********è successo qui?!”.
Il collega che era rimasto con me mi fissò e fece istintivamente un passo verso di me che in boxer e maglietta dei L.A. Raiders cercavo di capire a cosa si riferisse il poliziotto.
Mi diressi verso la cucina. Quando fui sulla porta rimasi un pelino interdetto… un’intera parete di costose piastrelle che rivestivano la cucina era crollata al suolo. Immagino quale potesse essere stato il frastuono… ecco perché i vicini avevano avuto paura!
Se avessi potuto fotografare l’espressione dipinta sui visi dei due poliziotti avrei vinto il Pulitzer e non starei qui a sparare @******* su COL ma vi assicuro che erano entrambi stupefatti.
Credo che abbiano avuto la tentazione di arrestarmi per ‘capirne di più’ ma quello fu solo il pensiero di un attimo… non perché erano buoni ma perché sono convinto che non erano certi che portarmi in questura sarebbe stata una buona idea.
Mi giustificai dicendo che, per via della strada che passava sotto la finestra della camera da letto, dormivo con i tappi alle orecchie. In realtà io non avevo i tappi ma non ho sentito niente.
Non mi credettero ma giunsero alla conclusione che forse era meglio fare i finti tonti.
Se ne andarono scusandosi per il disturbo e lasciandomi tra le macerie di una cucina semi demolita.
Presi un pennarello nero punta grossa e scrissi sulle piastrelle della parete opposta un messaggio per la signora delle pulizie che sarebbe venuta la mattina successiva.
Cominciava così… “Se leggerà questo messaggio vuol dire che queste piastrelle sono più fortunate delle loro consorelle che ERANO ‘appese’ all’altra parete…”
In quei dodici mesi incontrai tanta Roma. Imparai che per fare le cose esiste anche un ‘modo romano’. E’ un metodo che viene tramandato per tradizione orale e che, proprio perché ‘verba volant’, è facilmente adattabile e adottabile.
Ho conosciuto la Roma ostaggio dei pullman di turisti… centinaia e centinaia, ostaggio dei boiardi di stato le cui scorte li portavano dal posto ‘X’ al posto ‘Y’ con stridore di gomme, ululati di sirene e sbracciamenti di palette per fermare il traffico. La Roma ostaggio delle manifestazioni, della maratona, delle commemorazioni, degli stormi di storni che a migliaia ‘disegnano’ il cielo e a migliaia, sca****ando, ‘disegnano’ tutto quello che gli capita a tiro.
Roma… ostaggio dei romani.
O forse è Roma che tiene in ostaggio chi ci vive e chi ci va… non l’ho capito ma non è importante.
Me ne andai, come dicevo, il 28 dicembre in taxi… direzione Fiumicino. La mia missione era terminata.
Avrei preso un aereo Alitalia che mi riportava a Milano.
Dissi al Tassinaro che quella per me sarebbe stata l’ultima volta.
Lui mi guardò dallo specchietto retrovisore della sua Regata diesel che vibrava sul pavè romano come avrebbe vibrato sulla pista di Monza (A Dottò… nun cè sta un *******da fà… le Regate… vibbrano) i nostri sguardi si incontrarono poi lui tornò a guardare la strada.
Ebbi la sensazione che cercasse di capire se la mia affermazione era di sollievo o di rammarico poi immagino che comprese che era intrisa di entrambi questi stati d’animo e mi rispose… “A Dottò… oramai è ttardi… nun se preoccupi… in un modo o nell’altro je resterà na cicatrice indelebbile”.
Atterrai a Linate alle 19.00. Pensai alla cena che mi aspettava dai miei… “Si torna alle vecchie e sane abitudini…” ma non ne ero tanto convinto. Avevo preso l’abitudine di cenare tardi.
Alle 22.00, appena rientrato a casa mia, accusai un leggero malessere.
Alle 23.00 facevo il mio trionfale ingresso in un ospedale milanese dove un mio caro amico lavorava come chirurgo…
“Vedrai che sarà una @******…” mi disse al telefono… “Vieni che ti do un’occhiata.”
La @*******si risolse con un intervento d’urgenza di appendicectomia 27 secondi prima che si trasformasse in una peritonite.
Il chirurgo che lo assisteva nell’intervento quando estrasse un ascesso delle dimensioni di un’arancia gli disse… “Questo è quello che ti aspetti di trovare quando apri la pancia di un vecchio squalo… mancano solo vecchie lattine arrugginite.”
Alle 07.00 del mattino successivo telefonai ai miei…
“Ciao Mà, sono in ospedale, Marco mi ha operato di appendicite. Visto che ti telefono vuol dire che tutto è andato bene.”
I miei pensarono a uno scherzo. Alla terza telefonata riuscii a convincerli a portarmi il pigiama.
Quella sera mentre sorseggiavo un the alla nerda pensai ai ragazzi del Matriciano… poi mi vennero in mente quelli di Checco er carrettiere e poi tutti gli altri che avevano contribuito alla formazione dell’ascesso… “Sti gran fij de na mignotta…” pensai sorridendo.
Pensai anche al Tassinaro. Aveva ragione. Roma mi ha lasciato delle ‘cicatrici’ indelebili.
In un modo e nell’altro.