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Il treno per uccidere
Comprese che tutto stava finendo. Dal finestrino, l’orrore delle torce che venivano avanti, era il suo urlo nudo che non
aveva la forza di chiedere pietà, e si perdeva nel ricordo delle atrocità stampate nella propria coscienza. La follia era stata
cattiva consigliera nel far credere che il suo agire fosse stato giusto, reale, conseguenza di un rancore legittimo. Senza alcun
pentimento, si accartocciò in un angolo del vagone e puntò il coltello all’altezza del cuore. Si riconobbe, nella sua vecchia
abitudine di farsi del male, poi vinse la paura, spinse forte, e si perse per sempre. Il viaggio era cominciato due settimane
prima. In un treno, fermo all’ultimo binario della stazione Termini, dopo un ultimo saluto al cellulare:
- No mamma non torno a casa ho deciso di fare un viaggio.
- Un viaggio per dove? - Aveva risposto la madre.
- Prendo un treno per il Nord, non so dove mi fermerò.
Nessuna fermata. Partì con impressa negli occhi l’ultima immagine rubata dal;finestrino mentre il treno cominciava a
muoversi: un cumulo di ferraglia e vari oggetti abbandonati accanto alla ferrovia.
Dopo di allora un viaggio allucinato. Il pensiero di uccidere, di accoltellare, era una fabbricazione recente, ma la rabbia
maturata nel corso tempo riversava nella sua mente fantasie troppo vibranti per essere parcheggiate, e nelle mani una
lama per uccidere.
In ogni stazione c’è un palo vicino ai binari, e a volte c’è una donna che cammina nel buio, troppo in ritardo dopo che i
treni hanno fermato per l’ultima volta, o troppo in anticipo prima che i treni ricomincino a partire. “E’ stato come forare un
materasso” pensò la prima volta che l’ebbe fatto. Aveva congelato in mente, come un trofeo del demonio, quell’impressione,
ma accolse con ;fiero entusiasmo quel sentirsi diversi quando, allontanandosi con la paura che qualcuno avesse visto, si voltò
per ammirare un corpo legato ad un palo. E mentre annusava il vento gelido della riscossa, scaldava il proprio orgoglio nella
tiepida sensazione di aver cambiato palcoscenico, confondendo il copione di una trama insulsa, che da sempre gli aveva
cucito addosso il ruolo di vittima e di comparsa. La seconda volta avvenne due sere dopo: il suo treno aveva fatto capolinea
a Torino intorno alle 22 ed aveva atteso che le persone fossero scese tutte. Stette di guardia ad un #64257;nestrino, e quando vide
una donna aggirasi li fuori, scese e colpì con fredda decisione. Un’alba scabrosa avrebbe trasportato nel cuore dei passanti
una torbida emozione, nei loro occhi il rosso del sangue rappreso, e nei loro futuri incubi un palo di cemento che tratteneva
una donna morta.
Tornò sul treno vuoto dove avrebbe dormito e viaggiato di nuovo, secondo un rituale che avrebbe accompagnato quei giorni
sino all’epilogo finale, ma prima che si addormentasse il cellulare squillò:
- Sono preoccupata sono due giorni che non ti fai sentire.
- Mamma sto bene non preoccuparti per me.
- Ma dove sei in questo momento dove passi la notte? - Riprese ansiosa la madre.
- Sono in albergo è tutto a posto.
- Ma quando...
Non diede il tempo di terminare, chiuse la comunicazione, e si addormentò su un sedile.
Nei giorni che vennero l’osceno spettacolo si susseguì a più a riprese. Ma i sogni della notte cominciarono ad essere confusi,
deliranti, e spesso si confondevano con i pensieri del giorno: Il coltello impugnato al contrario che tagliava la sua mano; il
personale del treno che gli oriva da mangiare; la donna che inseguiva ad un tratto gli era dietro.
Si svegliava mille volte, dentro un crescendo di brividi e di sudore, in un frullato di pensieri scomposti. L’unica certezza che
accompagnava i giorni del cambiamento, consisteva nel suo malessere. Aveva armato la sua mano e la sua rabbia, minato
il sentiero del bene, oltraggiato ogni più elementare valutazione su ciò che potesse essere giusto o sbagliato, splendente
o cupo, vero o falso. Era come se il filo logico del suo pensiero fosse guidato da una mano tremolante che con una penna
unisce i numeri di un disegno incomprensibile, e ad ogni nuovo punto, una città per uccidere.
Avrebbero messo finene al suo progetto, si che lo avrebbero fatto ma aveva senso fermarsi?
Il giorno della fine lo aveva fatto di nuovo: a pochi metri dal treno, con in mano il coltello, aveva trascinato la sua ultima
vittima vicino al palo. Una coltellata, poi un’altra e un’altra ancora. L’aveva lasciata legata tornando a ridacchiare sul treno:
“proprio come forare un materasso”.
Avrebbe telefonato alla madre se solo tre giorni prima non avesse gettato il cellulare dal finestrino, per paura qualcuno
intercettasse la sua posizione. Ma quando udì delle voci crescere e vide le luci avvicinarsi, intuì che quella precauzione non
era servita... e comprese che tutto stava finenendo...
- Fino a ieri era qui, sono certa, gli ho portato da mangiare - Disse una ragazza con la torcia in mano.
- Non da notizie alla madre da almeno tre giorni sei sicura si trattasse della stessa persona? - Rispose un volontario alle sue
spalle.
- La descrizione fatta dalla madre coincide perfettamente.
Entrarono nel vagone e trovarono il corpo sanguinante e senza vita.
Nella ricerca di un perché le torce puntavano fuori dal finestrino. Una scritta arrugginita indicava che quella era la stazione
Termini. Poco più in qua un cumulo di ferraglia e vari oggetti abbandonati accanto alla ferrovia. Più distante un telefonino
cellulare giaceva al suolo, e legato ad un palo un materasso forato in vari punti. Su un binario morto, l’ultimo binario della
stazione termini, un treno dismesso e abbandonato da anni, aveva portato con se l’ultimo passeggero nel viaggio più
assurdo che si possa immaginare. Una donna vi era salita nel disperato tentativo di vincere quella terrificante mania di farsi
del male ma ne era derivata una sconfitta tragica e completa, senza possibilità rivincite.
Non ci sarebbero stati giornali a scrivere di una spietata carneficina;ce, non ci sarebbero stati mostri per sfamare le loro cronache.
Quel che rimaneva, invisibile al mondo, era un viaggio mai iniziato, l’immaginazione straripare nella realtà, la solitudine
inventare un riscatto nero, e, al di qua del confine, un cellulare a terra squillare senza che nessuno potesse più rispondere.
Modificato da cchei il 18/01/2012 alle 12:16:05