Inserito il 11/02/2012 alle: 12:09:42
Leggendo in giro,mi sono imbattuto in un piccolo racconto,spunto di profonde riflessioni.
Per molti,non per tutti.
Buona lettura.
“una giornata di sole”
Stamattina causa neve che ci ha regalato la stagione, un po’ avanzata magari, ho accompagnato mia moglie xxxxxxxx al lavoro, avrà tempo per imparare a fare il Montecarlo nel futuro, essì perché pare che da noi in pianura le strade siano più malmesse che al famoso rally che alle volte si svolgeva senza la tanto voluta neve, mi ricordo le gare vinte dalla Fulvia HF a trazione anteriore, praticamente un’auto con motore ruote motrici e sterzo davanti, mentre dietro c’erano due ruote che se le toglievi quasi non te ne accorgevi.
Invece qui da noi basta qualche ora di neve e le auto non si muovono più ; in effetti ci sono le colpe delle varie amministrazioni che non sanno o vogliono fare il loro lavoro, non si capisce sennò perché in montagna trovi spesso le strade più pulite; ci sono anche le colpe delle auto moderne che sulla neve sono peggiori di quelle del passato perché più pesanti, troppo potenti, con gomme larghe; c’è da dire che si può fare molto con le gomme invernali che la gente non monta perché “tanto nevica due volte l’anno”, peccato che quelle due volte l’anno poi ti schianti o blocchi il traffico, come il camion di stamane che non saliva su una salitina da nulla che se fosse stata pulita con spazzaneve e sale il ghiaccio non avrebbe creato nessun problema, invece xxxxxxxx bloccata, ma tanto siamo in Italia del speriamo che me la cavo, ed è sempre colpa degli altri.
E allora considerato ciò, più la poca vena rallystica della xxxx, più la xxxxxxxxx, mi sono messo il cappello da chauffeur e un bel giorno di ferie e eccomi qui, tra l’altro a scrivere a biro cosa che non facevo da tempo usando il pc ed è anche diverso, hai più tempo per pensare a quello che scrivi, col computer è tutto più veloce con la consapevolezza di correggere come e quando vuoi. Il motivo perché sono qui a scrivere è perché mi sono dimenticato a casa i libri da leggere sul tavolo, che memoria.
Sono a R uno dei tre istituti dove lavora la xxxx insieme a B e G. Un bell’istituto non c’è che dire, l’impressione prima quando entri è di ordine e accuratezza nelle cose, di pulizia non di certo come a V dove purtroppo appena entrato mi sentii a disagio, i fatti successivi confermarono l’inadeguatezza generale, ma questo è un’altra storia.
E’ bello nel senso etico della parola, non estetico; vedere persone ognuna che fa il proprio lavoro per mandare avanti il tutto; mi sarebbe piaciuto fare un giro all’esterno come feci a maggio a B in quella giornata quando accompagnai la xxxx infortunata, quel giorno di fine primavera lo passai all’esterno per la maggior parte del tempo, al pomeriggio, e c’erano tanti anziani insieme, da soli coi parenti ognuno nel loro piccolo mondo.
Mi devo accontentare dell’impressione che ricevo dalle poche cose che vedo, dalle persone che incontro, come i pazienti che ho visto in un reparto, sembrano tanti ragazzi, forse perché siamo così abituati e condizionati a considerare le persone per quello che danno come contributo, per esempio la persona di successo “è”, “c’è”, “ha qualcosa in più”; invece chi ha meno possibilità e capacità merita una semplice occhiata e via, figuriamoci gli sfortunati come i disabili, loro sono “i ragazzi”, gli anziani sono i “poverini che vitaccia”.
E se invece avessero da dirci qualche cosa? Se loro sentono cose che noi non sentiamo più?
Non ci rendiamo conto di in che razza di mondo di incomunicabilità viviamo, siamo connessi H24, disponiamo di tutte le informazioni che ci necessitano,ma siamo isolati l’uno dall’altro, certo che non è così per tutti, una delle persone a me più care l’ho conosciuto virtualmente; ma per la maggiore viviamo isolati in un mondo di sconosciuti, stiamo assieme a cento persone che magari incontri in una giornata, ci parli assieme, ci lavori assieme, ci discuti, ci litighi, ma non riesci a “parlare con loro”, non riesci a incrociare il loro sguardo, meno che meno i loro occhi tra un battito di ciglio e l’altro, pochi secondi passati, che basterebbero a dirsi tanto.
Qui, queste persone uomini e donne che vogliamo vedere come “ragazzi” vogliono parlarti, senza riuscire ad articolare, vogliono una carezza e ti toccano, ho dato la mano ad uno di loro e dopo la terza volta mi sono reso conto che non era quello che intendevo io, ma lui voleva dirmi qualcosa con quel gesto, chissà cosa, ma credo che sia qualcosa.
Poi c’è F.
F. è una “ragazza”, ha i miei stessi anni, poco tempo fa stava morendo perché insieme alle tante sfortune che la vita gli ha dato, ad un certo punto c’era anche quella che non mangiava più; poi invece un po’ di scienza medica gli ha lasciato ancora la possibilità di dormire e svegliarsi un giorno dopo l’altro, si proprio quella cosa che noi consideriamo come ineluttabile, anzi non ci pensiamo proprio, a noi succede e basta.
Ora è quasi allettata, si alza poco o niente e ogni giorno guarisce di qualche malattia, ma il giorno dopo gliene viene un’altra e chi gli vuole bene la accarezza, quando vedi quegli occhi azzurri che guardano speri che ti vedano, spero che hai visto anche i miei, la mia di carezza, tu che hai avuto solo questo dalla vita.
Le suore di questo centro per anziani e disabili, qui e ovunque esse siano nel mondo, la spina dorsale da cui si regge e collega tutto, perché quando fino all’ultimo dei loro giorni hanno il sorriso nella loro giornata, vuol dire che sono forti, loro dicono che lo fanno nel nome di Dio, io che di questo ci capisco poco vedo delle persone magnifiche che non si stancano mai di stancarsi.
Intanto che ero qui mi sono letto l’opuscolo dei cento anni di storia dell’Istituto S. nel 2013, dal fondatore Beato F.S., e ho letto ciò che volle scritto come sintesi sulla sua tomba, “nei più bisognosi ravviso Gesù Cristo”.
Sono belle parole che a noi fanno conoscere in una frase il senso dell’operato di questo sacerdote in questo caso, ma quantunque ci sforziamo con l’immaginazione e il pensiero mai arriveremo a considerare e a comprendere cosa e come ha vissuto una persona che ha dedicato la sua vita agli altri, e come lui tanti altri e non solo religiosi.
Certo che anche noi se vogliamo possiamo vivere in modo santo, la vita stessa cosi detta normale della maggior parte di noi è fatta di sacrifici per le persone a cui vogliamo bene, ma noi a loro diamo tanto sapendo che molto otterremo in cambio, che non è la stessa cosa di chi si dedica agli altri in modo unilaterale, sanno che potranno avere tanto indietro ma non cosà sarà.
Ognuno di noi vive nel proprio piccolo mondo, che non è quello in cui si svolge la nostra vita reale, ma quello che c’è dentro di noi che ci può far star bene del nulla, e male quando hai tutto.
Qui in questo posto di sofferenza allora non puoi aspettarti di vedere solo per forza dolore , e ce n’è tanto, di quello fisico portato avanti giorno per giorno per la sopravvivenza, insieme a briciole di serenità, frantumi di vita che si vogliono incollare assieme per godere del sole del “proprio piccolo mondo”.
Oggi ho visto questo e sembra la solita retorica quello di dire che l’ho trascritto per fissarlo dentro di me e sperare di farlo vedere agli altri; lo so lo dicono in tanti e io come loro, siamo in molti che speriamo di poter dare agli altri, lo so che parlarne senza fare è egoista ma io come tanti ho ancora molti che dipendono solo da me e dalla mia famiglia, ma ci sarà un domani.
Spero che “loro” il sole lo possano vedere veramente, di poterli un giorno accompagnare in una spiaggia assolata, che non sia solo nei miei pensieri,
che possano avere
“una giornata di sole”