Pubblicato:
12/03/2008 da
locardellino
Periodo:
12/03/2008 - 10/04/2008
(29 giorni)
Non specificato
Tunisia proposta tour in camper da 24 a 30 giorni
Riporto qui alcune informazioni, consigli e proposte elaborati dopo due viaggi, di cui il primo di una decina di giorni in gruppo (da evitare) dopo Natale 2005, il secondo di 28 giorni, da soli, poi con un secondo camper, nella primavera 2008. Integro le esperienze dei due viaggi, presi dai diari di viaggio sfrondati dai ricordi personali o comunque accidentali, tranne eventuali episodi curiosi che possono aiutare a capire abitudini e cultura dei posti visitati; dove non serve non sto a dire che il tal giorno pioveva o che ho avuto mal di testa…
È necessario portare almeno un libro guida per scegliere le cose da vedere e per le mappe delle città; per la Tunisia forse il migliore è quello del TCI (che ha sempre mappe molto chiare) o il Michelin; ma io ne ho consultati una decina per elaborare il mio progetto.
Un buon sito internet è: http://lexicorient.com/tunisia/index.htm.
Per le informazioni e l’elenco dei pochi campeggi: ente turismo tunisino Tel 02 86453044 email: info@turismotunisia.it.
Per la scelta della nave mi pare che il meglio sia GNV: alcuni hanno trovato più economica la tunisina CTN, che tuttavia in internet indica costi maggiori; inoltre la GNV fa sconti del 10% ai sostenitori di Bambini nel Deserto ONLUS ?cc 1500048 abi 1030 cab 12900 cin G ?CODICE IBAN: IT 24 G 01030 12900 000001500048? Ag. Modena - Monte Dei Paschi di Siena; ?Causale: "Erogazione liberale a favore della ONLUS Bambini nel Deserto".
Siti dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco: le medine di Tunisi, Sousse e Kairouan; Cartagine; Ichkeuil; Dougga; Kerkouane; El Jem
NB: quasi tutti i musei sono chiusi il lunedì; moschee e monumenti religiosi il venerdì.
Portare crema solare alta protezione; farmaci contro il mal di mare; Imodium, ecc.
Fare fotocopie di passaporti, libretto di circolazione e altri documenti.
In nave prendere con sé libretto del camper + certificato di proprietà, passaporti e documenti per le pratiche che talvolta si fanno in nave e comunque servono per compilare i moduli da ritirare alla reception, uno in due parti per ogni passeggero e due (bianco + azzurro) per il camper. La trafila, a volte molto lunga e poco chiara, è: 1° Polizia (ritira una parte del cartoncino personale e timbra il passaporto e l’altra parte da conservare). 2° dogana: il proprietario consegna il foglio del camper, la dogana mette il timbro di importazione sul passaporto. 3° un altro ufficio di dogana rilascia un documento sostitutivo del libretto, in 2 copie. Allo sbarco nascondere CB e pc.
Premesse sulla Tunisia e sugli abitanti… e sul turismo in camper.
Ma prima sento il dovere di chiarire alcuni punti essenziali per chi viaggia in camper, soprattutto in posti diversi dai “nostri”: leggo in internet diari di camperisti che lamentano maltrattamenti, a volte lanci di pietre in Tunisia o Marocco, gente che ti accoglie male in Croazia… io ho trovato ovunque grande gentilezza e ospitalità, molto più che nel lombardo-veneto dove mi hanno rigato il camper e molti evitano di parlarti o ti insultano credendoti zingaro… Ma, in Tunisia e Marocco (ma anche in Croazia nei mesi di luglio e agosto) i camper invadono paesini rendendo impossibile la circolazione ai locali, parcheggiando malamente, spesso viaggiano in gruppi anche numerosi, provocando disagi e talvolta reazioni di protesta. Il gruppo numeroso con cui siamo andati la prima volta in Tunisia era guidato da incompetenti impreparati che ci facevano girare a vuoto nelle città alla ricerca del posto in cui fermarci, provocando evidenti vistosi disagi alla popolazione; ci hanno fatto attraversare paesi con mercato e gente e animali per la strada, che le nostre guide commentavano con disprezzo (“vanno per la strada come cani”) mentre ci facevano passare a velocità sostenuta; gli ultimi in coda hanno ricevuto qualche sassata di protesta e si considerano vittime di razzismo e intolleranza dei locali anziché rendersi conto di quanto siamo noi a disturbare. Molti ricorrono ai viaggi organizzati per insicurezza; così ho fatto anche io per convincere mia moglie a fare il primo viaggio; è stato ottimo solo perché l’ha convinta che in Tunisia non c’è alcun pericolo e che è assolutamente da evitare il viaggiare in gruppo, anche se non tutti i capocarovana sono disastrosi come i nostri: ne ho conosciuti di validi e preparati, ma il gruppo crea comunque disagi alla popolazione e impedisce autonomia di scelte ai partecipanti. Molto meglio in due o massimo tre camper.
Il periodo migliore secondo me è marzo-aprile, sia per il clima, sia perché poco turistico anche in posti che in altri periodi sono invasi da turisti che li rendono sgradevoli. In primavera è meglio andare prima al sud dove dopo sarebbe troppo caldo mentre a nord fino a metà aprile può piovere e fare freddo. Tunisi e dintorni al ritorno.
I tunisini sono molto gentili, soprattutto i vigili e la GN (Guardia Nazionale, corrispondente dei nostri carabinieri), che dicono sempre “soyez les bienvenus”. In genere, quando ci capiscono e quando noi li capiamo, hanno un vivo senso dell’umorismo. Ma spesso dicono con buona pronuncia solo poche frasi di cortesia apprese a scuola e basta.
Le indicazioni sugli usi e sugli abitanti penso che restino valide per qualche tempo, ma lo stato delle strade, i prezzi, il valore del dinaro, possono cambiare rapidamente. Segnalo le novità e le differenze rispetto alla carta stradale Michelin del 2007, ma presto ci saranno nuove strade che prima erano piste mentre a volte strade buone in poco tempo diventano disastrate…
Il dinaro segue il dollaro e quindi è svalutato rispetto all’euro (1,8DT = 1€), ma i prezzi seguono l’euro, e talvolta lo superano, e per molte cose in due anni sono quasi raddoppiati. Così le entrate nei musei e nei siti archeologici ormai sono a 4€, ed i più importanti a 8€, +1 per ogni apparecchio fotografico (ma di solito si contentano di uno per ogni persona o coppia). Frutta e verdura non costano meno che da noi al supermercato, anche se da noi si dà la colpa all’euro per gli aumenti eccessivi. In compenso costano molto meno la benzina, i ristoranti, le carni, soprattutto di agnello (che però è spesso pecora; io preferisco le nostre).
In molti siti romani è presente una fortezza bizantina, costruita con pietre di recupero distruggendo i monumenti romani per organizzare inutili difese in questa breve riconquista dell’impero da parte di Giustiniano, che ha fatto quasi solo guerre e danni ovunque… In quasi tutti poi c’è una o più chiesa o basilica, spesso recuperata anche questa da precedenti edifici.
Nei siti archeologici, e talvolta anche altrove, mi pare conveniente, se si capisce bene il francese, prendere una guida: sono spesso preparate, e per pochi dinari indicano cose che da solo perderesti, e ti evitano l’assillo di altre guide o venditori… che però qui sono molto meno fastidiosi che in: parlano molto, volentieri, ed è difficile interrompere e andarsene; ma di solito non chiedono né insistono per vendere, tranne nei posti più turistici.
Si vedono spesso delle specie di trincee in terra, a volte coltivate a fichi d’india, per raccogliere l’acqua piovana; altrove solchi, più o meno fondi e tortuosi, scavati da oueb durante le piogge.
Molto diffuse le rotonde, con al centro monumenti spesso curiosi, a volte belli.
Spesso le frecce direzionali, soprattutto quelle marroni turistiche, non sono messe prima, ma solo a lato dell’imbocco della strada; altre volte sono segnati nomi diversi prima e sulla strada da imboccare o addirittura la stessa città è scritta in modi diversi. I segnali sono spesso scritti solo in arabo o poco chiari o poco visibili o assenti.
È consentito ovunque (tranne vicino alle frontiere) sostare per la notte, ma è meglio chiedere alla Guardia Nazionale o alla Polizia, che spesso fa sostare davanti ai propri uffici; i poliziotti sono gentili, ma assoluti nel dire dove parcheggiare; la GN in genere è più disponibile e assicura che possiamo stare ovunque, ma poi anche loro “consigliano”, “per la nostra sicurezza”, dove dobbiamo andare. A volte la gente ti invita a casa sua; consiglio di accettare questi inviti, ricambiando con cose italiane, per conoscere meglio il paese e la gente; tanto più poi se si tratta di polizia o GN; ma sono convinto che ci si può fidare di tutti, qui il senso di ospitalità è molto forte.
I campeggi sono molto rari e i bagni sporchi; meglio fare tutto in casa e poi rifornirsi di acqua e scaricare. Purtroppo gli scarichi in Tunisia non sono previsti, ma ci sono ampi spazi incolti (spesso disseminati di immondizie) per cui è facile (e inevitabile) scaricare sui bordi delle strade…
Palmeti: ce ne sono ovunque, e ovunque vengono proposte le visite, spesso in carrozzella. Mi pare che le migliori da visitare siano La corbeille di Nefta e quelle delle oasi di montagna, oltre a un tratto di palmeto costeggiato andando a piedi fino al Belvedere di Tozeur.
Animali: uccelli migratori soprattutto in gennaio e febbraio; i fenicotteri rosa invece sono molto frequenti e numerosi e non migrano; ne trovi più spesso nelle lagune, in gruppi anche molto numerosi; noi ne abbiamo visti molti nel lago di Ichkeul, lungo tutta la costa fra Nabeul e Kebilia e poi a nord di Sousse; non abbiamo partecipato alle escursioni organizzate da Houmt-Souk (Jerba) per vederli…
Mance: al ristorante uno o due DT, al lavavetri 0,5DT, ai mendicanti niente, oppure 0,1 o 0,2.
Farmacie ben fornite e farmacisti spesso preparati, come i nostri di una volta… in grado di sostituire il medico per le cose più usuali… Le farmacie notturne hanno un simbolo diverso, e sono aperte anche nei giorni festivi.
Venerdì 14 marzo 2008. Notte tranquilla al parcheggio riservato ai passeggeri subito fuori del porto di La Goulette, davanti agli uffici Cotunav (Compagnia tunisina di navigazione); c’è anche la polizia, in una bella casa nel verde, vicino al forte.
Partiamo in direzione sud; si passa una grandiosa porta e si seguono le frecce per il BAC (traghetto gratuito h 7-20.45) per Radès, poi per Sousse. C’è un passaggio a livello prima del BAC, con camioncini che da entrambi i sensi, trovandosi in coda, finiscono fermi sotto le sbarre o all’interno di esse mentre queste si abbassano per il passaggio di un treno (ne passano spesso e la coda è lunga).
Le strade, attorno a La Goulette, sono particolarmente pulite per essere al porto e alla periferia di una grande città. Ma non sarà ovunque così… Tutti fumano, molti sputano.
Molte mimose fiorite, che vedremo ovunque, oltre ad altre piante con infiorescenze simili, ma con foglie diverse, forse una specie di acacie.
A Radès molta gente zappetta e pulisce le piante lungo la strada. È un paese in crescita, molto attivo; proseguiamo fino a un grande incrocio dove si vedono imponenti resti dell’acquedotto romano; in lontananza si erge il Jebel (monte) Zaghouan da cui partiva l’acquedotto. Siamo arrivati alla P3 per Kairouan, troviamo facilmente il bivio per Oudna, ci ritroviamo sulla C36; molte pecore e pastori e povere casette accanto alle rovine, che a tratti rivelano chiaramente il condotto (chiuso) per l’acqua. La carta Michelin qui è molto precisa, segna la curva della strada davanti alla ferrovia, poi la stazione (militare? abbandonata?) di Oudna, il bivio (prendere a sinistra, ma non ci sono indicazioni) poi uno successivo a destra, questo ben segnalato da un monumento con la scritta, e del resto ormai individuabile perché si vedono bene le rovine. Il nome del posto (come quasi tutti i meno noti ed anche alcuni di quelli noti) è scritto in vari modi, Oudna, Oudhna, Outhna, Uthina (forse è il termine latino, scritto sul monumento al bivio), ecc. Lungo la strada, come poi sempre, greggi e pastori, eucalipti, mimose; più raramente anche mucche, alberi da frutta nel nord, a volte, come qui, coltivazioni di peschi in fiore.
Paghiamo il biglietto (4DT), ma è scritto che sono vietate le foto; chiedo e dicono che posso farne da lontano, dell’insieme, ma non dei dettagli, perché stanno ancora facendo scavi, ricerche, ricostruzioni (ne ruberò qualcuna, in particolare di qualche bel mosaico). Infatti c’è fervore di lavori. Il vice capo archeologo ci spiega alcune cose e ci dice che sta per uscire un libro, in varie lingue, su Oudna.
Il posto ha il fascino della scoperta e della mancanza di turisti; la pianta del sito riporta spiegazioni anche in italiano perché ci lavora l’università di Cagliari; l’anfiteatro che stanno ricostruendo, la casa di Ikarios e quella dei Laberii con bei mosaici, un quartiere di abitazioni; le terme, resti del teatro, l’acropoli, dove c’è una casa colonica (mica male come posto!).
Affascinati, ripartiamo tornando lungo la stessa strada fino alla P3, proseguiamo per Thuburbo Majus, da raggiungere per una strada piccola, a destra, segnalata solo all’ultimo momento; qui troviamo i primi turisti e le prime immondizie: saranno i turisti a lasciarle? Quelli tunisini o gli altri? Inserito in una bella conca, ma trascurato e spogliato: fiori e erbacce ricoprono il sito mentre mosaici e resti di sculture sono al Bardo. Il Capitolium, dove sono stati trovati i resti di una statua di Giove alta sette metri (piede e testa al Bardo). Tempio di Mercurio; palestra dei Petronii e strada dei Petroni; le terme d’estate; il tempio di Baalat e quello a Caelestis; terme d’inverno.
Notiamo fin d’ora con sorpresa una diversa tecnica di costruzione dei muri, a grandi pietre orizzontali e verticali che delimitano zone in cui sono inserite piccole pietre a linee orizzontali; solo alla fine del viaggio la guida di Bulla Regia ci spiegherà che questo è il modo tipico in Africa, detto appunto opus africanum; proprio a Bulla Regia vedremo un muro più antico costruito ancora in opus reticolatum, come si usa in Italia e altrove.
Fa molto caldo, oltre 30°. Il parcheggio è piccolo, ma è possibile fermarsi a dormire, fuori del cancello, perché c’è sempre il guardiano notturno, che mi ha chiesto se intendevo fermarmi e me lo ha proposto… Ma noi pensiamo di andare a dormire a Zaghouan, anche perché è ancora presto.
Si riprende la P3 verso El Fahs, deviando per la città prima di attraversare la ferrovia; subito dopo la ferrovia a sinistra, sulla C28, come segna la carta Michelin (che però mette El Fahs sulla P3). A Zaghouan si trova facilmente il Ninfeo (temple des eaux), ben segnalato con frecce marroni; turistico, ma bello … molto ben preparato, con sentiero (degli innamorati), scalinata (che porta dritto a un bel bar, e di lato alla fonte), pannelli con foto e spiegazioni. Credo che ci si possa pernottare, ma saremmo isolati e cerchiamo un altro posto; non è così facile, la città è vasta ma tutta a mezza costa, con strade strette e in pendenza; all’entrata la GN ci suggerisce un parcheggio di taxi, davanti a una sede della polizia. Lo troviamo, ma è stretto, in pendenza, lungo la via principale molto trafficata e per giunta in quel punto molto sporca. Chiedo a un taxista che dice che qui è tutto in pendenza e ci manda al paese successivo, ma all’uscita chiedo ancora a un poliziotto che, senza lasciarmi dare spiegazioni, mi consiglia perentoriamente di tornare indietro fino alla successiva rotonda, in cui girare tutto a sinistra, lungo una strada in salita: al termine della salita, proseguiamo verso sinistra fino a un edificio pubblico che chiude la strada, ma davanti al quale, in piano, c’è qualche auto parcheggiata. Ci parcheggiamo anche noi ed è il più bel posto possibile.
Come raggiungerlo? Non certo se si è in gruppo, ma due o tre camper possono farlo; consiglio di fare come noi, proseguire fino alla fine del paese (grande), fino alla rotonda d’uscita verso Sousse o Hammamet (due strade diverse), tornare indietro riattraversando quasi tutto il paese fino alla prossima rotonda, girando del tutto a sinistra, dopo la strada per il tempio delle acque, prendere la successiva in salita (sulla destra un’altra piccola più in salita, da evitare) fino a un bivio: a sinistra, la strada finisce dopo una cinquantina di metri in uno slargo piano e tranquillo, con una piccola via a destra, lungo una moschea ed una ex-chiesa cristiana; di fronte un edificio pubblico con bandiera e scritta in arabo; a sinistra vista splendida sulla città al tramonto; il guardiano dell’edificio dice che non si può… ma che possiamo restare… Ringraziamo senza bakshis, glielo daremo domani se lo rivediamo…
Sabato 15, Zriba, ex villaggio montano; ora c’è una ampia zona industriale.
Terreni molto coltivati, olivi e sotto ortaggi, e anche molte pecore. Poi vasti tratti incolti o a prato con specie di trincee in terra, che poi vedremo anche coltivate a fichi d’india; supponiamo che siano per raccogliere l’acqua piovana. Ci confermeranno fra poco che è per questo.
Molte greggi; parlo a pastori che salutano con buon accento francese, ma non lo parlano.
Villaggio di Aïn M’Dhaker. Poi passiamo accanto a un cementificio, ben visibile da Takrouna, dove ci diranno che esso inquina anche le acque del vicino lago.
Takrouna. Alcune guide lo sconsigliano perché troppo turistico. In effetti lo è, ma merita salirci, tanto più in periodo poco turistico come questo: non c’è nessuno. Entriamo nel paese basso per una strada in terra, dove pensiamo di parcheggiare accanto a un muro per salire a piedi, ma ci consigliano di proseguire per quella strada fino a trovarne una asfaltata e comoda che sale; parte ovviamente dalla principale, ma noi abbiamo deviato prima e non l’abbiamo vista, così passiamo all’interno del paese attuale; in quello antico, in alto, sono rimaste solo poche famiglie. Alla fine del paese troviamo e percorriamo in parte la strada asfaltata che sale, ma al primo slargo decidiamo di parcheggiare e proseguire a piedi, secondo la nostra intenzione iniziale, che consente di vedere e fotografare meglio. Il paese, chiaramente molto turistico (anche se ora semivuoto, per fortuna nostra), è però privo di pattumiere e piuttosto sporco.
Incontriamo una pastora con nipotino, che ci chiede di cambiare 14€ in 30DT; appena dico che non è il cambio giusto propone il cambio esatto a 25DT, che evidentemente conosceva bene. Poco dopo un distinto signore, giovane e istruito, ci parla in ottimo francese, della situazione del paese, di sé che ha un master in amministrazione aziendale ma data la crisi non trova un lavoro adeguato e vive lì, nella casa avita; si offre di farci una foto, poi, sempre chiacchierando e come passeggiando in compagnia, assolutamente non come guida, prosegue con noi, ci addita un passaggio oltre il quale il sentiero fa un bel giro panoramico della rocca che da soli avemmo perso, suggerisce angoli da fotografare e percorsi; ci conferma che le trincee di terra frequenti nella regione servono per trattenere l’acqua piovana. Ci racconta anche tutto il nostro percorso in paese, dalla prima sosta, il dialogo, la decisione di proseguire, ecc: lui, dall’alto, aveva visto tutto.
Insomma, alla fine lo salutiamo e mica possiamo dargli un dinaro come a qualsiasi guida: o nulla, oppure due euro di quelli che si era fatto cambiare la pastora, la quale intanto era già tornata da un pezzo, fingendo di non vederci.
Dopo Takrouna moltissima immondizia per la strada. Dopo Enfida, sulla P1, nidi di cicogne sui pali della luce. Deviamo verso la costa a Hergla, ma non ne raggiungiamo la città vecchia di pescatori, cui dovremmo arrivare per stradine in cui non osiamo entrare; l’entroterra e pieno di nuove costruzioni e nuove strade; così ci ritroviamo sulla costa verso Sousse, e ci fermiamo poco dopo, per pranzo, su una spiaggetta con mare bello, ma sporca e squallida. Anche qui nessuna pattumiera; eppure sembra un posto ricco e turistico. In compenso c’è una gradevole arietta e la temperatura è scesa attorno ai 20°, dopo la puntata alta di ieri.
La costa fino a Sousse è deludente, salvo un breve tratto in cui vediamo un gruppo di fenicotteri; peggio ancora a Sousse: tutta di grandi alberghi e condomini turistici, per chilometri, a partire da prima di Port El Kantaoui; forse discreti, e considerati belli perché di turismo abbastanza ricco, ma per noi privi di interesse e piuttosto squallidi, con pochi turisti americani o europei in brache corte e una o due in short e reggiseno lungo la strada rumorosa e inquinata. Questione di gusti.
A Sousse dopo chilometri di costruzioni banali arriviamo alle mura della medina; la polizia ci consiglia di costeggiare le mura fino al lato opposto, dove vicino alla casbah e al museo potremo parcheggiare comodamente per la notte. Ma il museo (ricco di mosaici romani) è chiuso per restauri “fino a nuovo ordine”. Visitiamo la medina e saliamo al ribat e nador, con vista sulla vicina grande moschea. La medina è ariosa, luminosa, con larghi spazi (ribat, moschee) e alcune arterie principali strette e affollatissime, in parte coperte (la zona degli orefici, come sempre la più frequentata dalle signore locali).
Essendo chiuso il museo (che sembra contenere molti bei mosaici romani) forse è meglio fermarsi solo due orette lungo le mura presso la grande moschea e il Ribat, fare un giretto per rue de Paris e Souk el Caid, magari fino alla casbah, forse una visita al di arti popolari el-Kobba, con cupola a costoloni zigzaganti, poi un giro in auto attorno alle mura e ripartire per Monastir, più tranquillo e più adatto a una sosta in camper, vicino al mare o al “Monastir Center”, zona di alberghi, controllata, tranquilla e sicura. Quando riapriranno il museo di Sousse si potrà parcheggiare anche lì per visitarlo, ma credo che convenga comunque ripartire prima di sera.
La vasta periferia sud, vecchia e povera, è sicuramente più viva e autentica ma non più bella di quella turistica a nord.
Arriviamo a Monastir, dove, proprio in fondo alla avenue Bourghiba, il cui ultimo tratto è un magnifico viale alberato, sbuchiamo in una piazzetta tranquilla, dove parcheggiamo bene e stiamo ottimamente.
Domenica 16, visite d’obbligo al ribat, molto interessante, e al mausoleo di Bourghiba, tipico esempio di culto della personalità, ma che va visto. Noi poi abbiamo la fortuna di arrivarci non solo come ovunque con poco turismo ma anche in un giorno di festa dell’abito tradizionale, per cui c’è un gruppetto di una ventina di bimbi vestiti in costumi tipici, alcuni molto ricchi e sfarzosi (soprattutto quelli femminili), altri molto dimessi, che i genitori compiaciuti ci lasciano fotografare. Gradevole anche la passeggiata in centro, pur senza cose eccezionali.
Mahdia non offre nulla di interessante, in città; per salire sulla “Porta nera” devi pagare il biglietto del museo di scarso interesse, e non maggiore ne ha la salita in cima alla porta. In compenso merita fare una passeggiata lungo la costa attorno al forte barj al-Kabir, in mezzo al cimitero marino, davvero suggestivo, luogo di passeggio anche per gli abitanti, fino al capo.
Solo a Madia incontriamo una mamma con una gonna appena sotto il ginocchio e gli stivali che quasi arrivano alla gonna, lasciando in vista dieci centimetri di gamba: cosa talmente eccezionale che ne siamo rimasti colpiti anche noi; chissà cosa penseranno i tunisini! Poco dopo ne vediamo un’altra vestita esattamente allo stesso modo: una nuova audace moda…
Arriviamo a El Jem in tempo per visitare il museo, che non avevamo visto la volta precedente; molto interessante, avremmo voluto dedicargli più tempo: mosaici, una villa romana trasportata e ricostruita con i suoi mosaici, e un quartiere riportato alla luce qui. Poiché il biglietto è caro e comprende la visita dell’anfiteatro e vale per un solo giorno, sarebbe bene arrivare molto prima (lo si può fare, senza perdere tempo alla porta nera di Mahdia), ma noi avevamo giù visto l’anfiteatro, e il giorno dopo ci siamo limitati a rivederlo e fotografarlo con attenzione dal di fuori, sempre bello. Forse è meglio girare attorno all’anfiteatro al tramonto e poi all’alba, e rimandarne la visita al giorno con più tempo, assieme al museo.
Volevamo dormire ai piedi dell’anfiteatro, come ho letto che ha fatto qualcuno, ma ora non si può più, alcune vie sono chiuse al traffico, altre sono effettivamente caotiche e forse meno sicure, come ci spiega la polizia che ci ha fatto parcheggiare davanti alla loro sede, sulla strada per Sfax, assicurando che c’è rischio che i ragazzini disturbino, mentre lì non ci sarebbe stato alcun rumore; me ne stupisco, sicuro?, sulla statale per Sfax?; Sicuro! Dopo le dieci non passa più nessuno. Sì, infatti, a parte camion sferraglianti veloci, motorette, auto che suonano, ecc.
Pochi minuti prima delle dieci, mentre mi sto cambiando per andare a letto, bussano. Mi rivesto, guardo dai vetri, è un poliziotto. Apro… si capisce subito che è ubriaco; i suoi colleghi prima ci avevano detto che anche qui, come ovunque nel mondo, c’è qualche ubriaco… ma che proprio per questo è meglio stare davanti alla caserma, dove c’è sempre qualcuno, giorno e notte. Infatti. Chiede perché siamo qui. Dico che ce l’hanno detto i suoi colleghi; interviene un tizio in borghese che dice che non è vero; insisto, un po’ scocciato, e racconto parte del dialogo, il fatto che io volevo stare accanto all’anfiteatro e loro mi hanno detto che era più sicuro qui. Mi chiede “où sont les moteurs”… è senz’altro ubriaco, ma qui credo che abbia solo sbagliato la parola francese, perché poi chiede “où sont les autres”… Dico che siamo soli, ci augura la buonanotte e ripete, anche lui, “soyez les bienvenus”. Ma ho dormito male per il troppo rumore.
Lunedì 17/3. A Sfax arriviamo a parcheggiare facilmente lungo le mura della medina, e per prima cosa andiamo a vedere il mercato del pesce, che la volta precedente non avevamo visto e ci avevano detto che è molto interessante. Ma il lunedì è chiuso, vuoto. Anche il resto della medina, peraltro già visitata bene la volta prima, è semivuota. Il passaggio da Sfax è stato quasi solo una perdita di tempo, ma in genere consiglio di passarci, possibilmente non di lunedì, e vedere almeno il mercato coperto, in particolare del pesce, la medina e dall’altra parte di questa il museo archeologico con bei mosaici. Diciamo almeno una o due ore. Ristorante Le Bagdad elegante ma appena discreto; la zuppa à la sfaxienne non mi ha entusiasmato. Troveremo ristoranti migliori nel nord della Tunisia.
Anche questa volta saltiamo Gabès, che non mi convince.
Ajim: arriviamo a prendere il Bac per l’isola di Jerba al tramonto, dopo una lunga coda che aumenta ancora dietro di noi. Un gruppetto di mafiosetti su una golf gialla si inserisce davanti a noi saltando la coda; viene il vigile che li manda indietro: discutono a lungo, devono sentirsi pezzi grossi (ma sembrano solo arroganti), gridano, insistono, poi si rassegnano a vanno indietro, ma subito dopo tornano davanti a noi. Il vigile interviene di nuovo e li rimanda indietro, ma quando tocca a noi imbarcarci quelli arrivano di nuovo e si inseriscono. Facce da piccoli mafiosetti da periferia, ma sul bac altri mafiosetti li salutano e parlano e ridono con loro, probabilmente orgogliosi della loro bravata.
Arriviamo che è ormai buio e chiediamo dove dormire alla GN, che ci dice di proseguire un centinaio di metri e tornare indietro per una porta a destra, che ci riporta proprio dietro la caserma. Infatti c’è una sbarra aperta, entriamo in un empasse privato sul retro di case, un bar, la polizia e la GN, e infine al porto. Ci sistemiamo e andiamo a spasso fino al paese, dove c’è un nuovissimo centro con ristorante, bar ecc. Ci mostrano gli ambienti, ci presentano il cuoco che ci dà la ricetta per la harissa, senza le dosi che dipendono dai gusti: peperoncino, sale, aglio, cumino, coriandolo (grani e/o foglie); macinare, aggiungere olio. Si trova anche in vendita, in barattoli a lunga conservazione o in sacchetti di preparazione più casalinga, forse più buona ma più rischiosa da portare via; comunque secondo il cuoco è meglio farsela a casa.
Martedì 18. Mattinata a Houmt-Souk, al mercato del pesce deludente con aste fiacche (ho visto di molto meglio in Sicilia, a Selinunte). Nell’isola c’è spesso gente in costumi tipici, sia nei campi sia in città; le donne anziane hanno tutte mantelli bianchi con strisce bianche e rosse; le contadine usano larghi cappelli di paglia; ma in città molte ragazzine e anche donne sono vestite all’europea. I venditori assillano poco, forse perché non ne hanno bisogno, tutti vengono a comperare; effettivamente pare che i prezzi siano migliori che da noi anche sui prodotti nostri: vendono monili d’oreficeria prodotti in Italia e in Francia, e lo dicono, per invogliare all’acquisto, evidentemente perché sanno di avere prezzi più bassi.
Spugne, sia vere (in Tunisia se ne pescano ancora molte, soprattutto ad Ajim), sia vegetali, da frutti seccati di alberi (harakha, o un nome simile; nome scientifico luffa cylindrica, in italiano è detta cetriolo-spugna), che avevo trovato e usato in centroamerica.
Un negozio di antiquariato stracolmo. Alcuni fondouk (caravanserragli) trasformati in negozi, ed uno adattato a ostello della gioventù.
Pomeriggio a Midoun a vedere la “fantasia”, divertimenti innocui per turisti scemi, cioè annoiati spiaggiaioli in settimane all inclusive: al martedì è previsto lo spettacolino (per le tre, ma inizia alle quattro; a pagamento, a 32-33 gradi), simile a quelli nostri di paese del dopoguerra. Prima si simula un matrimonio tunisino (e va ancora discretamente), poi una specie di Zampanò locale si esibisce in varie prove di forza, coinvolgendo signore e signorine del pubblico. Dopo, in periferia e gratis, sei cavalieri corrono per breve tratto simulando lotta. Ce ne andiamo prima della fine…
Abbastanza delusi, preferiamo andare subito al campeggio di Aghir, saltando la Ghriba che avrebbe imposto una deviazione con scarse speranze di soddisfacimento… il campeggio non sarebbe male, ma è mal tenuto, e preparato con piazzole in cemento per quattro camper mentre ce ne sono già una decina, per lo più tedeschi.
Aghir, mercoledì 19 marzo 2008, al mattino, in campeggio. È il primo giorno in cui siamo in campeggio; 3DT x2 + 5 per il camper, compresa acqua e elettricità.
A El Kantara, verso il ponte romano, vediamo molti parapendii, usati in modo strano: avvicinandoci, non c’è nessuno a bordo, li usano come aquiloni… poi scopriamo che vorrebbero usarli come traino per fare surf, ma solo due o tre ci riescono, gli altri cadono subito e finiscono per usarli, appunto, come aquiloni.
A Zarzis per sicurezza facciamo gasolio. Proseguiamo tra la costa a sinistra e chott a destra, fino a Ben Guardane; dapprima affascinante, alla lunga diventa monotono e noioso, ed ancora di più dopo, verso Tataouine, anche perché il fondo stradale è ruvido e rumoroso e fa saltare.
A Oued el Gar, 12 km prima di Tataouine, troviamo un bivio importante per Zarzis e Jerba in strada asfaltata, penso sia la C115 segnata sulla Michelin come pista. Potrebbe essere più rapida e simpatica, a condizione di informarsi bene sul tratto che attraversa il chott e che la Michelin indica pericoloso… Se si ha fretta e non si sente il bisogno di raccontare agli amici che si è stati a Jerba si può addirittura saltare l’isola e scendere da Gabès a Tataouine passando per Medenine: piuttosto, stare un giorno in più al sud e visitare meglio gli ksour.
Arrivando si deve comunque attraversare tutta la città per raggiungere, in Av. Hédi Chaker, l’hôtel La Gazelle, sulla destra, con tranquillo parcheggio e prese di corrente (e bagni in hôtel) per 15 DT. Tornando sulla via, a sinistra (cioè da dove siamo arrivati) c’è una buona pasticceria che fa ottime cornes de gazelle. Meglio rifornirsene per tutto il viaggio, perché poi non ne abbiamo più trovate così buone e ben preparate e presentate in modo pulito.
Individuato e riservato il posto proseguiamo in camper lungo la stessa strada da cui siamo arrivati, poi deviamo prima di una caserma, a destra e poi la prima a sinistra (come per una enorme rotonda a sensi unici attorno ad un isolato), sulla P19 da cui si devia subito a destra, poi ancora a destra per Beni Barka, su una bella collina, con possibile parcheggio in una spiazzo in curva da cui proseguire a piedi verso lo ksar in cima alla collinetta. Noi non ci saliamo perché è già tardi. Dopo poche foto ridiscendiamo e proseguiamo in direzione di Maztouria, per arrivare a Ksar Ouled Soltane, davvero magnifico. È stato restaurato, ormai ad uso turistico, ma molto bene; devo però sempre ricordare che il fatto di essere venuti in periodo non turistico rende tutto più piacevole, e non credo che avrebbe affascinato altrettanto se lo avessimo trovato pieno di turisti.
Alla rotonda prendere la direzione indicata per M’Ghit, un villaggetto a quattro km, oltre il quale Ezzarah è conservata meno bene ma è ancora in parte abitata ed ha il fascino di un ambiente ancora vissuto. Infine tre ksour contigui, Beni Bled & Gettoufa & Jelidat, che noi abbiamo visto di corsa per evitare il rientro al buio. In realtà troviamo alcuni chilometri di strada in rifacimento molto malandata che ci rallenta e ci costringe ad arrivare proprio al buio; in mancanza di segnalazioni entriamo in città senza capire ancora dove siamo, ma per fortuna si arriva dritti dritti sulla stessa via dell’hôtel.
Pomeriggio entusiasmante, con l’unico rimpianto a posteriori di aver avuto troppa fretta: sarebbe stato meglio fermarsi un giorno in più. Così al mattino avremmo potuto anche accettare l’invito del pasticcere e venire a vedere e filmare il lavoro di preparazione delle cornes di gazelle.
Giovedì 20. Abbiamo percorso finora solo 500 km e siamo già arrivati al punto più a sud del nostro giro. Ripartiamo per la P19 come ieri; prima tappa a Ouled Debbeb, che già da lontano si annunzia come trionfo del cattivo gusto per la presenza di un enorme dinosauro di cartapesta posto a guardia dello ksar ristrutturato a hôtel, credo destinato a tunisini ricchi, perché credo che neppure i ricchi americani apprezzerebbero queste robacce; da due anni stanno lavorando alacremente per farne un capolavoro ma per ora è aperto solo un ristorante, caffetteria e museo, a pagamento necessario per visitare lo ksar; ieri avevo detto che dovrebbero far pagare l’ingresso ad ogni ksar, a favore della comunità del villaggio, che ne avrebbe vantaggio senza bisogno di chiedere, a volte in modo indecoroso e fastidioso, ai vari turisti; tuttavia oggi ero molto incerto se accettare, dopo il trionfo di animali che mi ha accolto; invece ho fatto bene ad entrare: il museo è interessante e ben spiegato da una impiegata che parla bene il francese. Sarebbe bello anche l’hôtel, se non fosse invaso da dinosauri, cammelli e un’enorme orribile aquila. L’anno precedente avevamo già ammirato cammelli di sale sul chott, un caprone (o stambecco o muflone) a Chebika, e quest’anno enormi fenicotteri all’entrata di una città.
Tutt’altra cosa Douiret, arroccato sulla montagna. Qui hanno aperto con contributi UE un alberghetto gestito da un comitato per la protezione dell’ambiente, restaurando alcune stanze così correttamente che non ci sono i bagni in camera, ma solo fuori, comuni, dall’altra parte del cortile. Affascinante sia la parte restaurata sia i numerosi ruderi arroccati lungo il pendio, lungo il quale saliamo.
Chenini potrebbe anche essere bello, forse anche fra i più belli, ma visto che di belli ce ne sono molti non ci sembra il caso di piazzare il nostro camper (a pagamento e forse con rischio di furti) fra decine di pullman e distese di auto per entrare nella processione di formiche che vediamo salire in ordinata fila lungo il sentiero che percorre a serpentina il paese fino alla cresta del monte su cui è arroccato. Un vero alveare di turisti, che toglie la voglia di salirci. Prima di arrivare abbiamo incontrato un gruppo di una decina di camper italiani che ne venivano.
Magnifico invece il paesaggio in tutta la zona degli ksour, fino a oltre Matmata; fra i più belli della Tunisia, anche indipendentemente dalla bellezza degli ksour. Meriterebbe fermarsi più a lungo e girellare a piedi tutta la zona, magari con guide; per esempio fare la camminata di 3 ore, con guida, suggerita da qualche libro, da Douiret, salendo fino al kalaat, per sentiero di cresta fino a Chinini.
Per andare a Guermessa bisogna prendere la strada per Tataouine e, verso la fine (dopo circa 15 km) deviare a sinistra; la strada diretta da Chenini a Guermessa segnata sulla carta Michelin come asfaltata è una pista che mi dicono assolutamente impraticabile ai camper; non sono riuscito a vederne la partenza, ma se è la traccia che si vede sul versante opposto della montagna credo che non sia facile neppure per i fuoristrada.
A Guermessa pensiamo di parcheggiare e pranzare proprio alla base della stradina che sale allo ksar, ma si avvicina un tizio, dall’aria di un guardiano, che non parla francese ma ripete “de la place” e fa segni che credo di interpretare come un divieto di stare lì e un invito o ordine di spostarsi in là, verso la strada principale; quando ci prepariamo a partire approva ma sembra voler salire con noi; forse vuole farci da guida, comunque conferma a segni che dobbiamo spostarci. Partiamo nella direzione da lui indicata, ma al primo incrocio troviamo un taxista che parla francese e che ci spiega che c’è una strada che porta fin su, ma è pista e fa un giro lungo per cui è più bello e più rapido salire a piedi come noi volevamo fare; dice che possiamo parcheggiare dove eravamo. Torniamo, ci chiudiamo dentro per mangiare, qualcuno bussa ma non apriamo; probabilmente è monsieur de la Place. Dopo un po’ bussano di nuovo, apro e sono due giovani che ci chiedono come stiamo, dico bene se ci lasciano tranquilli; poi più nulla.
Dopo pranzo saliamo. C’è anche una strada lastricata, in ottimo stato salvo pochi punti franati; pare romana. In cima il custode (ha le chiavi di alcune stanze) conferma che è romana; poi ne avremo conferma indiretta leggendo che nello ksar seguente, Ghomrassen, sono stati trovati resti di case romane. Davvero hanno seminato strade ovunque. Anche in Turchia, in un alto monte, la nostra amica archeologa ci aveva fatto notare tratti lastricati spiegando che sono tipici resti di strade dei romani, unici allora a costruirne così. Perciò tutte le strade portano a Roma.
Il custode, cui diciamo che abbiamo fretta, ci apre una stanza e spiega velocemente… poi lo ringrazio e chiedo a mia moglie “due o tre?” e lui in francese suggerisce quattro o cinque… cinque… cinque… Gliene do cinque e lui stesso è sorpreso, per sdebitarsi ci apre di corsa un’altra stanza, quella dei genitori; dopo c’è quella dei nonni. A Douiret invece c’era in entrata la stanza dei ragazzi e all’interno quella dei genitori.
Al ritorno parliamo di nuovo con il custode, che vuole sapere dove andremo a dormire per dire al custode del posto che ci accolga bene; dico che non so ancora, e lui dice che avverte tutti e tre, Ghomrassen, Ksar Hadada e Ksar Joumaa; allora mi raccomando di non dire quanto gli ho dato, perché è cosa che ho potuto fare una sola volta… Lui approva e mi ringrazia ancora dicendo che oggi lui ha avuto il suo regalo…
Saltiamo i due successivi; vogliamo arrivare a vedere ksar Jamaa prima del buio, e in tempo per proseguire se lì non ci si può fermare. Dopo Beni Kheddache ci troviamo nelle nubi, visibilità a 50 metri scarsi, poi sempre meno, e vento, a ondate piuttosto forte… si procede molto lentamente. Arriviamo al paese di Ksar Joumaa senza nemmeno accorgercene; sono quattro case e ce ne accorgiamo solo all’uscita dove un cartello ne indica la fine; appena possiamo torniamo indietro… noi vediamo solo poche misere case lungo la strada e un negozietto dove chiedo se possiamo fermarci lì per la notte. Dicono che possiamo ma che è meglio tornare a Beni Kheddache oppure, meglio ancora, andare allo ksar di Ksar Joumaa, vicino e molto più tranquillo, e forse frequentato dai camper. Insistono, ci convincono, proviamo… Un chilometro di strada asfaltata verso Medenine, poi uno di pista in salita; la visibilità è ormai a pochi metri, il vento è più forte, su un lato si indovina lo strapiombo, ad un certo punto mi pare anche sull’altro lato, forse siamo su cresta… Finalmente arriviamo al “parcheggio”, proseguiamo a piedi, entriamo nello ksar, in un corridoio di case in cui passeremmo a stento; il cortile è più ampio, e ovviamente deserto. Non ho neppure preso la camera per fotografare il … buio… Le guide lo danno come uno dei posti più belli, e non ho difficoltà a crederlo, ma non fra le nubi…
Torniamo al camper sconsolati. Arriva una persona… Potrebbe essere il custode avvertito da quello di Guermessa, ma sul momento non ci penso… Lui sembra arrivare per caso o per affari suoi. Gli chiedo se scendendo verso Medenine ci sarà sempre questa nube. Dice di no e noi decidiamo di proseguire; dopo pochi chilometri scendiamo sotto le nubi e la visibilità diventa ottima.
Arriviamo a Medenine, troviamo lo ksar (ma loro dicono “gli ksour”), restaurato e organizzato in museo, negozi e altre attività. Ma il parcheggio è solo fuori, nel caos più totale. Ripartiamo subito per Metameur, dove alcuni camperesti avevano detto di aver dormito, uno tranquillamente, l’altro lamentando sporcizia. Entriamo subito dietro ad un 4x4 tedesco fino ad una piazzetta fra gorfas davanti a un bar. Il proprietario dice che dietro c’è un posto in cui si può stare. Manda un ragazzino a mostrarmelo, è il cortile di un vasto ksar, relativamente ben conservato. È ormai buio, ma ci pare decisamente un ottimo posto in cui passare la notte, per 10 DT compresa elettricità, acqua e scarico. Che meraviglia!
Resta da sperare che l’indomani sia bel tempo, per affrontare serenamente le montagne verso Matmata; oppure aspettare qui un giorno intero, visto che il posto pare bello. Per ora ce lo godiamo e festeggiamo la fine di una giornata intensa e molto ricca, conclusa nel migliore dei modi dopo la tensione della nebbia: desideravo, ma senza crederci, di passare una notte in uno ksar, autentico e non addomesticato per turisti…
Metameur venerdì mattina. Giornata magnifica in un posto magnifico trovato quasi per caso ieri sera per finire in bellezza.
Ma i bagni sono sporchi. Abbiamo rinunciato a fare acqua e a vuotare la cassetta wc, meglio farlo nei campi, più puliti e senza puzza. Insomma, va benissimo per passarci la notte senza utilizzare nulla a parte l’elettricità; per noi è stato ottimo e lo consiglio.
Appena partiti vediamo davanti a noi un gruppo di camper, che dopo un po’ raggiungiamo in qualche punto panoramico, e ritroviamo in altri, a far foto; sono siciliani, simpatici, solo cinque, e si fermano scaglionati per non disturbare, ma a Toujane inevitabilmente intralciano, tanto più che il primo si ferma a chiedere informazioni a qualche passante bloccando tutti gli altri, noi compresi, in piena cittadina lungo la centrale via stretta; poco dopo alcuni per far foto “parcheggiano” alla siciliana, a un metro o due dal bordo della strada, in modo da bloccare il passaggio alle auto…
Il paesaggio è sempre bellissimo.
Saltiamo Matmata, che conosciamo già; è molto frequentata da turisti, ma interessante, da non perdere, come pure tutto il paesaggio circostante, molto bello. Matmata è considerata il prototipo del villaggio troglodita; per molti chilometri nei dintorni sono situati altri villaggi dello stesso tipo e forse "più autentici" poiché meno frequentati, come Beni Aïssa, Chembali, Techine e Hedege (Haddej no: i ragazzini tirano sassi e gli adulti ti spremono; neppure Tijma, troppo turistico; Sidi Meta, a 5 km, “il più bello”).
Le abitazioni sono sotterranee; vi si accede tramite una galleria. Lungo lo stretto passaggio d'entrata sono situate stalle e ripostigli per utensili, fino ad uscire su un cortile circolare nelle cui pareti argillose sono scavate in modo grossolano delle nicchie che formano gli spazi abitativi ed i ripostigli per le provviste, mentre ad un livello superiore, spesso accessibile solo mediante una fune, vengono conservate le granaglie. Le varie nicchie, indipendenti le une dalla altre, sono fresche d'estate e temperate d'inverno.
Una, grande, è stata adattata ad albergo e forse collegata ad altre con servizio ristorante, negozi, magazzino. Naturalmente portano a visitare quella. Più in alto, una "casa" meno turistica.
Ci fermiamo qualche volta poco oltre, a godere del paesaggio e fare le foto che la volta prima, in gruppo, non avevamo potuto fermarci a fare. Breve sosta a Tamezret, bello e tranquillo, dove qualche camperista dice di aver passato una notte tranquilla e ci credo: nessuno ti disturba. Penso che sia molto meglio sostare per la notte qui che a Matmata. Ma abbiamo cercato invano strade agibili per Taoujout, Chabet Chemlali e altri villaggi nella regione di Béni Aïssa suggerita dalle guide: ci sono solo piste o stradine strette, e abbiamo rinunciato ad andarci.
Trenta chilometri dopo Matmata a sinistra parte la strada che in 70 km porta a Ksar Ghilane. Ora ci si più andare in camper, e forse si poteva anche due anni fa, ma la tradizione impose di andare a Douz e noleggiare fuoristrada con le sospensioni disastrate, che ti massacrano la schiena in zona solo semidesertica; poi finalmente il deserto arriva, affascinante per chi non l’ha mai visto, un po’ deludente per chi ne ha visti altri. L’oasi ha alberghi “di lusso” e campeggi; la piscina d’acqua calda, con gente (non solo bambini) che ci fa il bagno, è piuttosto sporca, ma al mattino vedremo che ci lavano piatti e posate… forse anche quelli con cui abbiamo mangiato la sera prima… La passeggiata nel deserto è sempre affascinante, e lo è ancor di più passarci la notte, sotto le stelle; ma questo è troppo turistico, e scomodo da raggiungere anche ora che lo si può fare in camper; mi sembra che anche in Tunisia (e tanto più altrove, anzitutto a Merzouga in Marocco) ci siano posti molto più affascinanti e meno invasi da turismo, in particolare dopo Douz e dopo Nefta.
Abbiamo fatto il nostro rientro nostalgico a Douz, ricordando quello di due anni fa. Ho sempre pensato che Douz avesse una fama immeritata, non ci avevo visto nulla di speciale, eppure è rimasto ben vivo nel ricordo e lo abbiamo rivisto con vero piacere, rivivendo i singoli posti, i vari acquisti fatti …
Douz, sabato 22 mattina. Di nuovo tutto nuvolo. Ma oggi non abbiamo in programma montagne… Basta che faccia bello domani e dopo per le oasi di montagna.
Ottimo giro per Zaafrane, El Faouar, puntata di una decina di chilometri verso Redjim Maatoug e Hazoua. Avrei voluto continuare tutto il giro del Chott fino a Hazoua e Nefta, ma è molto lungo e sembra abbastanza monotono; soprattutto ci tenevo a rifare il tratto già fatto la volta prima, veramente molto bello, da Kebili a Tozeur, e proseguire il giro per El Dargine, Nouil, Blidet, Kebili: si vede il deserto che avanza e minaccia i paesi, che se ne difendono con barricate sempre più alte man mano che la sabbia ricopre le precedenti; poi, nella deviazione verso Hazoua, vistosi miraggi, che sembrano proprio laghi, in cui tutto si riflette, e mentre ti avvicini agli oggetti l’acqua davanti a loro sparisce, e se ne vede altra più lontana. Arriviamo fino ad una torre (gas? O petrolio?) prima vista “sull’acqua” del miraggio. Al ritorno naturalmente vediamo acqua nel posto da cui eravamo venuti.
Molto meglio che ksar Ghilane; e non turistico, più autentico. Al primo villaggio tre bimbi ci guardano incuriositi; noi offriamo loro delle matite, e loro scappano in casa; le posiamo davanti alla loro porta, e loro escono a prenderle dopo che noi ci siamo ritirati. Forse abbiamo fatto male: così impareranno anche loro a chiedere…
Non entriamo nel deserto, per non riempire di sabbia noi e poi il camper, dato che ormai lo conosciamo bene da altri posti, in particolare dal Marocco, dove è più affascinante, ma penso che per chi non l’ha ancora visto una camminata qua, o una escursione con cavalli o cammelli che in certi punti aspettano pazientemente l’arrivo di turisti, sia almeno altrettanto piacevole, e molto più comoda ed economica, che una massacrante gita a Ksar Ghilane con tutti i suoi turisti. Oltre al fatto che qui è particolarmente vistoso, e a parer mio impressionante, il fenomeno di avanzamento del deserto e le opere per fermarne l’avanzata; ed i miraggi…
Le strada prosegue fra i vari chott e il deserto; la sabbia nei chott è più scura e liscia, e lungo la strada presenta cristallini di sale, a riprova che quelli erano propaggini del mare.
Circa 15 km dopo Kebili una deviazione a sinistra per Bechri, poi a destra per Fatnassa, poi ancora a destra, porta a Debabcha, una zona in cui la sabbia ha assunto forme di dune indurite alte qualche metro, molto affascinanti, su cui i turisti, che da pochi anni lo hanno scoperto, salgono per fare e farsi foto; lo abbiamo fatto anche noi due anni fa, ma con qualche remora, pensando che salendoci sopra avremmo contribuito a sgretolare queste affascinanti dune, e prevedevo che presto esse sarebbero sparite. Siamo ripassati quest’anno e con grande tristezza abbiamo verificato che si sono rovinate molto più velocemente di quanto pensassi, e non tanto per i turisti quanto per l’azione del vento che le erode e trasporta altra sabbia che ne copre gli avvallamenti. Temo che non sia più neppure il caso di suggerirne la visita; comunque si può raggiungere più facilmente il posto se si prosegue in direzione di Tozeur oltre il bivio per Bechri e si gira a sinistra al bivio successivo: ci si arriva con una deviazione di 2-3 km.
È sempre magnifico l’attraversamento del Chott El-Jerid, il più vasto dei tanti laghi salati in parte ed a periodi prosciugati, resti di un’antica vasta insenatura del mare; ma d’inverno, con più acqua, è più bello, con riflessi perlacei fiabeschi.
Tozeur è sempre affascinante. Ritroviamo il camping Les beaux rêves, dove ci sistemiamo allo stretto fra due palme. Il proprietario ci ha fatto mettere lì perché gli altri posti, più comodi, sono prenotati da un gruppo di 10 camper italiani che stanno per arrivare. Infatti li vediamo passare davanti ai mercati, mentre noi girelliamo a piedi; ovviamente una fila di 10 camper crea sempre disagio in città, ma tant’è… Il guaio è che al rientro il proprietario ci dice che possiamo sistemarci dove vogliamo perché quelli hanno preferito andare in un altro campeggio vicino; io non ho visto l’altro e non so se costa meno o se è migliore, so che questo è bello e non costa molto, ma soprattutto mi pare molto scorretto prenotarne uno e poi sceglierne un altro, creando disagi e perdite economiche evidenti. Pare che i gruppi di camper italiani ce la mettano sempre tutta per riuscire simpatici ed essere benvoluti… Anche i 5 siciliani, migliori e meno numerosi di altri, intasavano il paese stretto in modi piuttosto incivili…
Di Tozeur avevamo già girato a lungo la medina, molto interessante anche per la tipica architettura in muri di mattoni con decorazioni di mattoni posti un rilievo rispetto alla superficie del muro; il ricco e vario mercato lungo la via principale, vistoso di tappeti, e nei vicoli laterali pieni di cose strane, dove avevo comperato un aratro vecchio da museo; il museo dell’artigianato; una lunga passeggiata fino al belvedere, che costeggia un tratto di palmeto molto bello; ci mancava invece il giro del palmeto, che abbiamo iniziato a fare, partendo da un punto, poi da un altro, ma deludente per la sporcizia, anche se offre bei punti, un marabut, un ponte con ringhiera in tronchi di palma…
Una curiosità casuale: incrociamo una processione di parenti della sposa festanti.
Domenica 23. Accanto a noi era parcheggiata una coppia di italiani che prosegue il viaggio con noi. Noi intanto avevamo deciso di saltare Nefta (con mercato il mercoledì), il cui palmeto, la Corbeille, è il più bello di tutti, ma che avevamo già visitato bene la volta precedente, parcheggiando in alto, con bella vista da cui appare come un vasto cratere pieno di palme. Dopo Nefta avevamo previsto di proseguire per 15 km verso l’Algeria, sulla GP3, per vedere altre dune. Invece saltiamo tutto.
Anche delle oasi di montagna abbiamo saltato la prima, Chebika, molto bella ma già vista, perché abbiamo voluto andare subito a Metlaoui a prendere il Lézard Rouge, il trenino turistico che conduce alle gole di Selja, oltre le quali c’erano le prime miniere di fosfato sfruttate. Ma fra le chiacchiere prima di partire e i lavori in corso lungo la P3 siamo arrivati in ritardo. Allora abbiamo proseguito per Tamerza, dove oggi c’era il festival delle oasi di montagna.
Parcheggio vicino all’albergo della cascata, dove avevo letto che si sarebbe potuto restare per la notte, ma che ora pare in disuso. Leggo ai compagni gli appunti che avevo preso prima di partire, in cui riportavo il consiglio di prendere una guida (di solito le evitiamo), con alcuni nomi suggeriti da altri camperisti; intanto si è avvicinato un tizio, che ascolta… Leggo: “Toscano”; dice non sono io, quello non è di qui, è di Tozeur (o Kebili, non ricordo); leggo “Farouk Ezzdini”, dice che non è lui, quello è di un’altra città, forse di Nefta, o di Kebili; “Abjellatif”, proseguo, e lui dice, “sono io”, ma corregge il numero di telefono, dice che è sbagliato e mi detta quello giusto, 00216-97091629; lo segnalo perché si è rivelato un’ottima guida, anche se per i 40 DT previsti non ci ha dato tutto quello che era indicato: niente “pista Rommel” perché dice che l’hanno vietata dopo che un 4x4 vi è precipitato e niente gola da qui a Madès perché hanno vietato anche questa; ma ci propone dei bei giri: ci porta a Madès (o piuttosto si fa portare dai nostri camper) e ci fa scendere nella gola con deviazioni non usuali, in cui infatti siamo soli, per risalire da un’altra parte; poi qui a Tamerza in un’altra gola, più stretta ma non meno affascinante, ancor meno turistica, con il vantaggio che con lui anche nei posti più turistici nessuno ci assilla offrendo la merce; ci porta al festival dove c’è la banda di musicanti che poi fanno ballare il pubblico, compresi molti turisti; un tizio scatenato dopo aver ballato agitandosi molto più degli altri si è messo in ginocchio e ha scosso la testa al ritmo dei tamburi, sempre più energicamente, come in trance, mentre i tamburi gli si avvicinavano e tutto il cerchio si stringeva attorno a lui. Eccessivo, esasperante…
Insomma passiamo piacevolmente tutto il pomeriggio fino a sera, conclusa alla “grande cascata” (in realtà piuttosto piccola), il posto più turistico, che già conoscevamo in epoca migliore, con più acqua e con un bel sole al tramonto che dorava le rocce, mentre ora il sole si intravede appena nella nebbia di sabbia portata dal vento, che qualcuno chiama enfaticamente tempesta di sabbia, ma che comunque rende tutto sbiadito e le foto piatte e uniformi (tranne quelle fatte in fondo al cañon, dove il vento non ha colpito). Da non invogliare a scendere oltre Chebika, dove la volta prima avevo fatto delle foto alla catena di monti al tramonto di un rosso incredibile, tanto bello e vivo da sembrare falso… Ma Chebika è da non perdere.
Infine la guida ci conduce a pernottare davanti alla GN, al sicuro … Prima ci propone una visita al “mercato”, che invece risulta essere un insieme di negozi cui è evidentemente obbligato, per contratto o per interesse, a condurre i clienti; ma devo dire che l’ha fatto con molta discrezione e noi siamo subito tornati al nostro posto… che è risultato vicino ad una orchestra che questa sera suonerà in occasione del festival. Ma smetterà prima di mezzanotte.
Lunedì 24. Oggi il cielo è limpido. Torniamo a Metlaoui a prendere il treno, in tempo per occupare alcuni fra gli ultimi posti, pur essendo arrivati con quasi un’ora di anticipo; molti resteranno in piedi. Il percorso è breve, il treno lento; passa due gallerie per arrivare alla gola, perpendicolare alla direzione del treno, oltre la quale si vede la pianura: ci si potrebbe arrivare facilmente in auto dalla pianura, ma c’è solo una pista non segnalata, evidentemente per costringere i turisti a prendere il trenino, piuttosto caro rispetto ai costi locali: 20 DT a persona per pochi chilometri è un vero business. Non è fra le cose più interessanti, ma se si ha tempo lo si può prendere… Si ferma mezz’ora, ma nessuno lo dice, gli inservienti parlano solo arabo. I soliti informati scendono subito; si prosegue a piedi lungo la ferrovia, o si scende nella gola, o si sale sulla costa della montagna alla ricerca di fossili o minerali…
Alcuni bimbi correvano lungo la strada o a fianco del treno, facendo segno di fermarci, come fanno con le auto, e un ragazzo ha corso per almeno una decina di minuti lungo la strada più lontana, senza guardare il treno… forse si allena per le olimpiadi.
Gafsa. Consiglio di arrivare alla rotonda in cui bisogna girare a sinistra per Kasserine e Sbeitla, e qui girare invece a destra, nella principale avenue Bourghiba, per poche centinaia di metri, fin verso il fondo, e parcheggiare per visitare in dieci minuti le piscine romane con una bella piazzetta; il museo il lunedì è chiuso ma non credo che sia importante. A destra invece si può fare il giro delle mura della casbah ed entrarci. Oggi c’è fiera e l’entrata costa 0,250 DT. Perso tempo a girare per l’oasi polverosa, sporca e per niente interessante; non lo è neppure il resto della città. In compenso nel caos cittadino abbiamo visto un corteo dietro ad un carro su cui erano due bimbe vestite in ricchi costumi. Non siamo riusciti a sapere cosa fosse. Sono stato contento di vedere questa sfilata e la fiera, ma sono cose dovute al caso; a parte queste, la visita a Gafsa non merita più di dieci minuti per le piscine romane.
Avevamo previsto una tappa, e siamo rimasti, ma non merita. Era anche previsto un campeggio nell’oasi, ma questa era squallida e la strada per il campeggio stretta ed abbiamo rinunciato a cercarlo. Abbiamo dormito sul posto dove abbiamo parcheggiato.
L’ufficio informazioni doveva aprire alle 15; noi siamo arrivati alle 13, abbiamo pranzato, poi aspettato, poi girellato in attesa che aprisse, per sapere se è tutta percorribile la strada da Sakket a Sened; alle 16.30, visto che l’ufficio non apriva, ho chiesto di parlare con un responsabile del Patrimoine, i cui uffici sono vicino alle cisterne; mi riceve una che studia proprio il recupero turistico e culturale di quella zona, ne è entusiasta, ne raccomanda la visita, ma dice che per ora non c’è collegamento fra i due paesi: bisogna andare fino a Sened e poi tornare dalla stessa strada. Io non credo che meriti fare 80 + 80 km per vedere un paesino che, dalle foto viste in internet, non sembra più affascinante di tanti altri più facilmente accessibili.
Martedì 25. Subito prima di Kasserine i pochi resti romani di Cillium (teatro, arco, mausoleo dei Flavi). A Kasserine c’era mercato, ma solo in minima parte nel luogo che conoscevamo; il resto si è spostato verso l’uscita della città. Poco male, ci rifacciamo il giorno dopo con il mercato di Sbeitla; ma ora rivedendo le foto del 2006 credo che quelle fossero migliori, e più affascinante il mercato, perché lo si poteva vedere anche dall’alto del terrapieno della ferrovia.
Per la strada ci fermiamo a mangiare costine di agnello in uno dei tanti posti dove macellano e cucinano agnelli. Buono, ma per i miei gusti ed i miei denti troppo duro.
A Sbeitla ci sistemiamo nel parcheggio del sito, libero e gratuito anche di notte, con una forte luce su di noi che ci ricarica la batteria. Accanto alla biglietteria c’è un cortile interno circondato da negozietti e bar e forse un ristorante, e la gente ci viene anche di sera.
Il sito è molto turistico (e molto bello: il foro e i tre templi del campidoglio; vasche battesimali delle chiese) e quindi pieno di venditori di ricordini e di falsi (monete e lanterne) che, in questo periodo poco turistico, assillano noi…
Mercoledì 26, giornata piena, varia, bellissima, fra le più affascinanti del viaggio. Decidiamo di saltare Kairouan, molto interessante ma che tutti avevamo già visto; due anni fa noi avevamo parcheggiato all’hôtel Continental, comodo da raggiungere, abbastanza vicino al centro, e proprio davanti all’ente del turismo ONTT, dove bisogna passare a prendere il biglietto cumulativo per le varie entrate; ha anche la pianta della città, ma solo in vendita, mentre in centro la danno gratis; non capisco perché. La pasticceria Segni è molto nota, ma a Tunisi troveremo paste migliori
Avevamo preso una guida (inutile), che ci portò subito di fianco all’ufficio di turismo, ad ammirare le cisterne per l’acqua; poi al mausoleo di Sidi Sahabi. Un cimitero all’entrata della città. La grande moschea, poi vista dall’alto di un negozio di tappeti. Da soli torniamo alla medina, già girellata la sera prima, ne usciamo per cercare l’ente del turismo per la mappa, e camminiamo a lungo fuori le mura; lo troviamo all’entrata principale. da cui ricominciamo la visita: la zaouia (mausoleo) di Sidi Abid el-Ghariani; il cammello che tira acqua dal pozzo; molte belle case di venditori di tappeti (evidentemente un mestiere redditizio), dove ci trattano bene, ma solo finché non capiscono che non vogliamo comperare; la moschea delle tre porte; è la città santa, e capita spesso di incontrare qualche donna tutta coperta, magari che si tiene il velo con i denti per avere le mani libere.
Per andare a Makthar mi pare che il meglio sia la C71 fino all’incrocio con la P4, da prendere a destra (mentre a sinistra prosegue solo come pista); al museo mi confermano che quella è la strada migliore. Ripassando da Sbeitla passiamo per il mercato, ottimo, vario, autentico, curioso per noi, per nulla turistico, nessuno ci assilla… La gente in genere si lascia fotografare, gli uomini addirittura a volte lo chiedono, soprattutto i giovani. C’è di tutto, diviso in zone: montagne di pane vecchio, in grandi sacchi o stipato in camioncini, come cibo per animali; somari; balle di paglia; galline in stie; enormi quantità si stoffe e vestiti ammucchiati; mobili; materassi multicolori…
Partendo cerchiamo acqua a un distributore dove dicono che la loro non è potabile e mi mandano a un vicino ufficio delle acque, ma anche lì l’impiegato si dice pronto a farmela dare ma che non è potabile e serve per l’irrigazione o per lavare. Il che mi conferma che in Tunisia quando dicono che è potabile lo è davvero… ma non ci siamo mai fidati a berla.
Sulla P4 prima di Makthar la strada, in bei paesaggi, sale un colle, poi ne discende fino a un bivio con l’indicazione a sinistra di “circuit megalitique”. Io avevo già in programma, dopo Makthar, di andare a Ellès dove ci sono tombe megalitiche, ma da questa parte non ne conoscevo. Esitiamo, poi finiamo per prenderlo, in una stradina piccola ma asfaltata, nella direzione indicata per Jemaa (segnata sulla carta); strada stretta con paesaggi bellissimi, fino a un altro bivio a sinistra, che non prendiamo. In poche centinaia di metri arriviamo ad una caserma, Jemaa, dove un ufficiale mi dice che lì la strada finisce e che dobbiamo tornare indietro; non sa nulla di circuiti megalitici e non sa cosa sono i megaliti, ma ci consiglia di prendere quel bivio che abbiamo visto poco prima…
Il paesaggio è sempre più bello; perdiamo molte foto perché la strada è stretta e priva di parcheggi, e anche perché penso di farne poi al ritorno; invece più avanti veniamo a sapere che questa è una strada nuova (infatti sulla carta non c’è) che conduce fino a Ellès, e ciò spiega l’indicazione di circuito megalitico, e quindi non torneremo di qui ma proseguiremo dall’altra parte per ridiscendere a Makthar.
Troviamo un arco romano e qualche altro resto. Ci fermiamo, facciamo foto, ma un contadino ci dice che è proibito farne. Intanto arriva la GN, che chiede i passaporti ma dice che si può fotografare e che la strada continua fino a Ellès, dove ci sono i megaliti. La strada nuova è stata costruita per favorire lo sviluppo della regione e della sua agricoltura.
Sempre paesaggi bellissimi, con un magnifico cielo blu che poco per volta si arricchisce di nuvolette bianche, sempre più fitte. Arriviamo ai megaliti. Impressionante: una trentina di dolmen e di allées couvertes, alcune in ottimo stato di conservazione. Pranziamo, poi le visitiamo a lungo; siamo entusiasti, emozionati. Intanto le nuvole si infittiscono, diventano nere, il vento aumenta, incomincia a piovere mentre rientriamo. Raggiungiamo la P12, dove giriamo a destra, e ritorniamo rapidamente verso Makthar. Al museo, che sta per chiudere, ci dicono di dormire davanti alla GN e di tornare domani. Seguiamo le indicazioni, molto precise, ma arriviamo alla sede della polizia e non della GN; proseguiamo, giriamo, torniamo indietro, per due volte, ma della GN nessuna traccia. Chiedo ad una signora che in buon francese ci assicura che in città non c’è la GN e che dobbiamo fermarci davanti alla polizia. Torniamo ancora lì, ma essendo lì troppo stretto e in pendenza, decidiamo di proseguire fino a una piazza accanto al mercato; appena parcheggiati arriva la polizia che ci fa andare proprio davanti al loro ufficio, nella via stretta e in pendenza. Pazienza.
Andiamo a spasso, ritorniamo all’entrata del paese, a vedere l’arco romano e un mausoleo (che a me ricorda quello punico-numida di Dougga, indicato dalle guide come unico…; ma ricorda anche la “tomba di Terone” di Agrigento, che infatti nelle guide è associata a mausolei africani); finiamo proprio davanti alla GN, che quindi c’è in città, in un posto bello e tranquillo e in piano, vicino all’arco. Esce uno che ci riconosce, è quello che avevamo incontrato davanti a un arco romano e che ci aveva indicato la strada per Ellès. Gentilissimo. Forse avremmo dormito meglio lì… ma intanto avevamo già scherzato con due poliziotti simpatici e burloni… Uno di loro per la cena ci offre un piatto a base di harissa che gli ha preparato la moglie.
Giovedì 27. Durante la visita del sito di Makthar un vento tremendo che a volte rischia di farci cadere porta nubi con pioggia gelida, poi le allontana, riporta il sereno e poi nuove nubi e pioggia. Certo, senza quel vento l’avremmo goduta e approfondita di più, ma la visita è comunque interessante (almeno per chi ha qualche interesse in archeologia). Anche qui ci sono tombe megalitiche, come anche a Musti, a Dougga e altrove.
Oggi il mio programma (che gli amici hanno deciso di accettare senza indagare, per evitare la fatica di decidere) prevedeva la visita alla tavola di Giugurta, consigliata da molti; ma con questo tempo dobbiamo rinunciare, o semmai rimandare a domani. Puntiamo su Le Kef, dove arriviamo, fra vento e pioggia e qualche sprazzo di sereno, verso le 13 al museo di arti popolari. Parcheggiamo nella rotonda, poco frequentata; al museo confermano che possiamo stare lì, per pranzare, visitare il museo e girellare la zona (casbah e altro) e poi scendere a place Indépendance per la notte.
Visita al museo, interessante anche perché un dipendente ci accompagna e ci spiega bene molte cose, poi ci regala un CD di foto fatte da/con un archeologo italiano. Poi visita alla casbah (gratuita) anche interessante e ben guidata dal custode e con bel panorama dall’alto, alla basilica, con altro custode interessante (sempre il vantaggio della mancanza di turisti); la ex-moschea è chiusa, non si sa perché; ricerca della sinagoga; una ragazza non ne sa nulla ma chiede al telefono e le dicono che è proprio lì, davanti a lei; il custode dice che è detta ghriba, che in arabo significa straniera, ma la Ghriba è a Jerba e dicono che significhi la meravigliosa (oppure la solitaria); lui dice che secondo la leggenda erano tre sorelle, la terza in Algeria ad Annaba; forse erano tutte meravigliose e tutte straniere… ma la visita non mi pare interessante, a parte i due rotoli della torah… Un sito internet ebraico, http://www.bh.org.il/Communities/Synagogue/Djerba.asp, parla di “a number of synagogues with the same name located in other countries of North Africa”.
Ancora qualche giro, poi torniamo ai camper e li spostiamo in piazza indipendenza, che nessuno sa dove sia, neppure quando ci siamo, neppure i negozi vicini; una grande piazza con un bel parco e un grande edificio pubblico, forse il municipio, davanti al quale ci sistemiamo ottimamente. Cena al Venus, abbastanza vicino, dove siamo tutti soddisfatti per il cibo, il trattamento e il prezzo; discreto il vino rosso (8DT) robusto e gradevole; su consiglio del cameriere-padrone (?) che suggerisce di provare cibi tipici e non i soliti piatti per turisti che tutti conoscono, prendiamo una soupe tunisienne piccante ma ottima, io un complet merguez (5-6 salsiccetti sottili di carne farcita, con gusti, non molto piccante, ma neppure speciale; “complet” significa con contorno) e loro tre pollo alla marocchina, patate fritte, due porzioni di fragole, tutto buono, per 50 DT fra tutti.
Le Kef venerdì 28/3. È piovuto ancora più volte di notte e al mattino e continua a soffiare un forte vento, per cui rinuncio alla tavola di Giugurta, che al museo ieri ci avevano ancora raccomandato di vedere. Il vento freddo mi rende svogliato e dimentico anche il proposito di andare ad Hamman Mellegue, terme romane ancora in uso. Passiamo invece a vedere il village artisanal di cui abbiamo visto ieri l’indicazione, ma che il vigile proprio davanti all’indicazione non conosce. Perché è nuovo, in un bell’edificio, simpatico, con negozi e molti artigiani che ci lavorano ed al centro una grande sala museo di esposizione degli oggetti migliori, non in vendita. Davanti a uno stand ci sono due bimbi graziosi che io fotografo; dentro la mamma, una ricamatrice, mi dà il suo indirizzo chiedendo di mandarle la foto.
Partiamo per Dougga ma per la strada mi ricordo che avevo programmato di vedere Musti; in tempo per fermare davanti a un arco romano. Io da solo corro a visitare il sito, mentre gli altri restano a ciaccolare. Mi fermo a lungo e torno entusiasta: un custode preparato mi ha presentato molto bene i vari luoghi, dall’entrata alle macine olearie alla fortezza bizantina. Poi le cisterne, la cattedrale, alcuni templi, ecc. Assicura che qui nulla è stato ricostruito, sono stati fatti solo alcuni scavi. Convinco gli amici a venire e faccio loro da cicerone ripetendo quanto ho appena appreso.
Poi Dougga, dove pensavo di poter passare la notte, su indicazione di un camperista e poi dell’ente del turismo che indica qui uno dei pochi posti di sosta camper della Tunisia. Invece poco dopo averlo consentito ora da pochi mesi è severamente vietato, non solo, ma a detta del custode dell’accesso dalla parte del paese di Dougga (mentre l’entrata principale è dalla parte di Téboursouk, e le due entrate non sono collegate) è vietato anche proseguire in alto a vedere i siti più lontani con resti megalitici e numidi, perché sono proprietà privata di pastori che non si sono messi d’accordo con il governo che non paga ciò che loro vorrebbero e allora loro aizzano i cani contro i turisti. Tutto questo dice il custode, che ci fa pagare l’entrata e il permesso di foto ma senza darcene i biglietti, nonostante le nostre insistenze: sicuramente si è messo in tasca il denaro.
Iniziamo a visitare la parte bassa, che l’altra volta avevamo saltato essendo entrati dall’altra parte, in alto, vicino al teatro. Arrivati al teatro saliamo un po’, ma il timore dei cani ci frena… Andiamo al campidoglio dove mi avvicino a un pastore che a sua volta si era avvicinato a noi; è Mohammed; gli dico che due anni fa avevo visto anche i dolmen e le mura e tombe numidiche; si offre di accompagnarci.
Altra guida efficace e preparata. Era quasi sicuramente il pastore già incontrato l’altra volta, ma ora, scritturato, ci accompagna in più posti, forse è diventato più preparato, comunque più loquace e parla meglio francese. Ci mostra anche la cava dove i romani prendevano le pietre, e ci spiega che hanno costruito le città della zona, ricca di acqua e fertile, in posti vicini a cave di pietre.
A sera andiamo a Téboursouk e ci sistemiamo, su indicazione della polizia, nel loro parcheggio chiuso (sposto io la transenna per entrare), proprio davanti alla loro sede e a un muro romano di cinta della città. Un vigile ci consiglia di non fermarci a chiacchierare con la gente, ma non ne spiega il motivo. E noi subito dopo, davanti a resti romani che fotografo, siamo interpellati da due donne con bimbi, cui si aggiungono tre uomini, e tutti insieme si fanno fotografare e danno gli indirizzi cui mandare le foto.
Sabato 29, Aïn Tounga. Breve deviazione (sulla P5) per arrivarci. Abbandonato, senza custodi; il solito forte bizantino e pochi altri resti; le terme riconoscibili; pastori e somari fra le rovine, eucalipti, ginestre e asfodeli un po’ ovunque; in alto un grifone (?); dall’altro lato della collina, da villaggi privi di acqua (mentre qui ce n’è molta: Aïn significa fonte), vengono a prenderla con l’asino, due volte al giorno, percorrendo 20 o 30 minuti di strada. Il mio amico mi sfida a dire che ho trovato interessante anche questo, e io non glielo dico, ma consiglio ai lettori di farci una capatina.
Torniamo verso Téboursouk, ma prima di entrarci prendiamo a destra la C75, con indicazione per Béja; attenzione, dopo 22 km ad un bivio mal segnalato si deve deviare per una più piccola stradina asfaltata con freccia per Boussalen, in seguito scritto meglio Bou Salem; è sempre la C75! Paesaggio bello.
Bulla Regia. Prendiamo una guida, una donna che parla italiano, che ci ha spiegato alcune cose che non sapevamo, anche se ricordavamo molto bene il sito. Per esempio l’opus africanum, notato fin da Oudna, ma che ora lei ci nomina e ci spiega appunto come tipico africano; proprio qui ci fa vedere tratti di mura più antiche fatte nel tradizionale opus reticolatum. Le fogne e gli acquedotti sono a piano terra, le fogne un metro sotto le strade principali e mezzo metro sotto quelle secondarie; perciò nel piano inferiore delle ville non ci sono cucine né bagni. A Musti abbiamo visto una casa sotterranea come qui, ma era di origine bizantina, sotterranea per difesa. Conferma la mia ipotesi che i bizantini nell’ansia di recuperare tutto l’impero con Giustiniano hanno demolito edifici romani per costruire fortezze e muri di difesa.
Qui per la prima volta ci hanno chiesto il biglietto per le foto, e ne vogliono uno per ogni apparecchio. Poi è venuto il controllore dei biglietti (ma non per le foto) e gli ho detto che ieri a Dougga non ce li hanno dati pur avendoli chiesti con insistenza. Lui ha chiesto se volevo fare un reclamo, ho detto di no perché non avevo ricevuto danni, il danno era del governo. Poi il custode ha chiesto se avevo fatto reclamo, dicendo che in tal caso quello là perderebbe il posto… il che mi sembrerebbe giusto, ma non è affar mio. Se mi chiedono una dichiarazione di testimonianza posso farla, ma non ho nulla da reclamare!
Chemtou (città romana, santuario numidico, museo) è raggiungibile da una strada che parte proprio davanti a quella per Bulla Regia, e non dalla P6 che porta in Algeria. Rinunciamo ad andarci perché l’amico è stufo di rovine romane, ma penso che meriti. Fa finalmente bello e caldo, pensiamo di andare a dormire a Fernana, dove domani ci sarà mercato, e fare con calma la salita al colle, dove forse potremo fare una passeggiata fra i sugheri.
Fernana. Parcheggiati davanti alla polizia, sotto un piccolo condominio lungo la strada per Tabarka. Una passeggiata al centro, dove torneremo domani per il mercato, attorno a una rotonda al cui centro avevo notato arrivando un monumento di un albero stilizzato, con frutti che sembrano ghiande, che mi è piaciuto.
Mentre stiamo chiacchierando presso i camper e osservando cicogne che vanno ai nidi, sul minareto e su pali della luce, verso le 18.30 vediamo arrivare un aereo di carta che atterra presso di noi: c’è una scritta, chiede se parliamo francese, e se vogliamo salire a vedere il panorama dalla terrazza della casa davanti a cui siamo parcheggiati. Una signora, affacciata al balcone, ci fa segno di salire. Il bimbo di sei anni, Taha, è molto timido, ma ci porta (su richiesta della madre) un binocolo. Io gli do due tavolette di cioccolato. E facciamo foto. Intanto arriva il marito, anche lui molto gentile.
Poco dopo il marito ci porta una bottiglia di olio d’oliva fatto da loro e ci invita a salire da loro; Taha giocava al computer; ubbidiente, ha interrotto perché la mamma ha caricato le foto fatte a noi con il telefonino e ce le ha mostrate. Avrei dovuto caricare nella penna le nostre… Non hanno ancora internet perché costa caro ed è lento, ma presto ci sarà ADSL anche a Fernane e allora lo prenderanno, a costi equivalenti ai nostri o forse più cari.
C’è anche il padre di lui, che vive con loro ma ogni tanto va a Tunisi dagli altri figli; ha 84 anni, legge sullo schermo le notizie del TG che scorrono sotto le immagini; ha un’aria sorridente, sveglia e cordiale, ma non dice una parola di francese. Invece i due sposi parlano discretamente e ci danno varie notizie, su di loro, sui loro costumi, ecc. Taha ha iniziato la scuola quest’anno, a sei anni, e inizierà a studiare francese fra due anni.
Ho chiesto se usano ancora il matrimonio con tutti i riti e un abito al giorno per sette giorni; dice di sì, ma solo i ricchi fanno i sette vestiti e li conservano senza mai usarli, mentre la gente media, come loro, li affitta per l’occasione; ci fa vedere le foto. Lo sposo invece lo compra, uno solo, e poi lo usa, cravatta e camicia solo in qualche occasione, ma i pantaloni spesso, tanto che i suoi sono già consumati.
Si fa prima il fidanzamento, poi il matrimonio religioso e quello civile (con contratto), a volte insieme, più spesso separati, anche a distanza di molto tempo. Nel contratto civile si stabiliscono i vari accordi, modificabili nel tempo di comune accordo; meglio di come avrebbero dovuto essere da noi i Pac o i Dico, rifiutati da politici divorziati magari pronti (come i nostri compagni del viaggio precedente in Tunisia) ad accusare i mussulmani di integralismo. Al contrario che da noi, qui hanno solo scuole statali (a parte le scuole coraniche che corrispondono al nostro catechismo).
Dal terrazzo avevamo fotografato il paese e la casa stessa in cui vive la madre di lei; lui ora dice che alcune sue zie, ora molto anziane, che vivono su quelle colline e vicino a quel paese, non sono mai scese fin qui a Fernana; ma ora il mondo è diventato piccolo anche qui, e tutti hanno parenti che lavorano in Europa o in America o altrove.
Fernana, domenica 30, ore 6, dopo colazione ho già fatto foto all’alba, ben visibile dalla finestra del camper, con il sole che sorge. Da almeno un’ora un concerto di galli senza interruzione: siamo evidentemente in un paese agricolo. Purtroppo siamo anche sulla strada principale, e da almeno un’ora c’è anche concerto, più rumoroso se pur discontinuo, di auto e camion. Verso le 5 ne sono passate due o tre ad almeno 100 km/h, e siamo in città.
Aïn Draham e dintorni molto deludenti (almeno per noi; ai nostri amici non sono dispiaciuti): piante di sughero vecchie e/o malandate o malate, paesaggi banali paragonati alla Svizzera da chi non ha visto la Svizzera (e comunque perché venire in Tunisia per vedere la Svizzera?) e gente apparentemente ostile o comunque non ospitale (ma questo capita spesso fra la gente di montagna, e noi ne sappiamo qualcosa): finora ovunque in Tunisia la gente al nostro passaggio saluta o almeno risponde al saluto, qui in tutto il paese e dintorni solo due ragazzini. Ci fermiamo a chiedere conferma per la strada per Tabarka, e nessuno risponde; uno ci guarda fisso, non fa una piega, ed alla terza volta che io gli ripeto la domanda guardandolo chiaramente negli occhi fa un vago cenno con la mano per indicare che siamo sulla strada giusta.
Nessun motivo per fermarci qui, né per fare una passeggiata al Col des ruines, la cui strada entra nel bosco squallido di sugheri malconci; anche di questo, chi lo loda forse non ha mai visto i magnifici boschi di sugheri di Spagna e Portogallo.
Tabarka: caldo e bel tempo, e un ottimo posto al porto, ma tanti giri inutili per arrivarci; gratis se resti fuori (dove fuori stagione c’è molto posto), 5DT a camper dentro, +5 per luce e acqua, di fronte al ristorante Touta, ottimo e non caro: 15 DT il fritto misto di pesce, 3,5 il brik ai frutti di mare (ma il mio aveva l’albume dell’uovo molle). Da vedere les aiguilles e il forte dei genovesi, con bella vista. Ennesima bicca del Routard, secondo cui “il forte è proprietà dell’esercito, vietata la visita e perfino le foto”: il custode ci accoglie e ci fa visitare e fotografare l’interno, e dice che solo il faro è proprietà dell’esercito, il resto del comune che sta preparandolo per farne un museo.
Lunedì 31. Di notte è piovuto, stamane è tutto nuvoloso, con piogge saltuarie lungo la strada, da cui si indovina un bel paesaggio, a tratti lungo un lago artificiale. A Sejenane ci fermiamo in cerca di terrecotte tipiche, molto rudimentali, primitive, berbere, con figure di animali. Dicono che le possiamo trovare lungo la strada per Biserta. Ma come, non è questa? No, questa è per Mateur. E per andare a Biserta non si passa da Mature? Si vous voulez, ma l’altra è più breve e diretta. Mi faccio indicare sulla carta, è la strada per Cap Serrat, cui avevamo rinunciato a causa del maltempo; prima di arrivarci si gira a destra sulla C51, che sulla Michelin è segnata come pista ma che assicurano che è asfaltata. È effettivamente più corta, ma stretta e rovinata e piena di buche, e molto frequentata da camion; comunque il paesaggio è bello, anche sotto la pioggia. Poco prima e poco dopo il bivio ci sono banchetti con animaletti, venduti da bambini e da donne anziane, e forse fatti proprio da loro. Ci fermiamo sia prima, dove sono più numerosi e vari e forse anche più belli, sia dopo, più poveri e scarsi; tutti parlano pochissimo il francese, a fatica i numeri per dire il prezzo. A gente ferma al bivio e che parla francese ho chiesto dove fabbricano quegli animaletti e dove li vendono, mi hanno risposto a Biserta! Spiego ancora che sto parlando di quelli esposti nelle bancarelle appena passate, e ripetono “a Biserta”. Gli ultimi banchetti, poche centinaia di metri dopo il bivio, sono molto più miseri, hanno poche cosette, e finiamo per comperare quasi tutto, per fare regali (oltre a tenerne alcuni per noi). Tutto sotto la pioggia.
Sempre bei posti, e sempre tempo brutto. Costeggiando per breve tratto il lago di Ichkeul vediamo due fitti gruppi di fenicotteri, ma è talmente brutto che non sono neppure sicuro che siano loro e non ci fermiamo. Per la strada più volte cicogne e nidi, addirittura due su un unico palo condominiale. E garzette.
Arriviamo facilmente all’angolo del porto, davanti al ristorante Sport Nautique, dove pensavo di parcheggiare per la notte e dove effettivamente si sta molto bene lungo il viale. Piove talmente che nessuno ha voglia di uscire, nonostante che io sia corso a vedere dentro il ristorante, che presenta molto bene… e con prezzi piuttosto alti; tutti decidono di pranzare in camper al riparo dalla pioggia e dalla spesa. Per il prossimo pasto io ho in alternativa un altro nome, il ristorante du bonheur, meno caro ma dall’altra parte della città, inadatto se piove.
Intanto sento dalla radio che l’Europa ha introdotto ieri l’ora legale, cosa già fatta dal mio computer e conservata dall’estate scorsa dalla mia sveglia che tengo sempre fissa in camper.
Biserta, 1 aprile. Mattina nuvolosa, ma con scarsa e saltuaria pioggerella che ci consente di girare per la città, il lungo-canale, il ponte girevole, il mercato, vasto, pulito, ordinato (ma un venditore mi corregge: “organizzato”), veramente notevole. Verdure esposte come in un quadro, come da vetrinisti specializzati. Perfino le patate sono sistemate vistosamente in bell’ordine, posate una per una. Eccezionale l’ordine e la pulizia del mercato del pesce. Poi il porto vecchio, la casbah, la medina, quasi deserta, ma con una casa aperta, bella, invoglia a guardarci dentro e il proprietario ci invita: bagni e stanza molto belle, restaurate con gran gusto, una terrazza sul porto vecchio con un barbecue; sono camere in affitto.
Mentre la pioggia aumenta, alle 12 ora legale, troppo presto per il nostro stomaco, esaminiamo un ristorante su una barca nel porto vecchio, Le Phénicien, dello stesso proprietario del du bonheur di cui avevo preso nota. Andiamo a vedere anche questo, che presenta stessi menu e prezzi ma un aspetto meno invitante; torniamo al primo; l’antipasto di frutti di mare mi delude un po’, ma il couscous ai frutti di mare è ottimo e il prezzo, fra i più alti finora, è modesto rispetto ai nostri, 90 DT in quattro, compreso il vino (18 DT) e la mancia.
Torniamo al camper perché ormai piove proprio ed è previsto peggioramento per il pomeriggio. Invece dopo lettura e pisolino, verso le 16.30 c’era quasi sole e torniamo a spasso. Poco dopo incontriamo gli amici che stavano entrando al Champion (supermercato) da cui noi stavamo uscendo: compriamo dolcetti di Segni (di Kairouan), datteri e tutti i succi di guayava che troviamo, dato che in Italia non li troviamo e a noi piacciono molto.
Passiamo davanti alla maison de la culture, che ha una brutta parte superiore che sembra una fortezza, ma una parte inferiore discreta, ad archi, che penso di fotografare dal cancello aperto. Ne sta uscendo una signora anziana dall’aria distinta ma da puzza sotto il naso; devo aspettare che esca, e scambio qualche parola; parla un ottimo francese; le chiedo, per inutile cortesia, se posso fotografare la facciata dell’edificio; sono per la strada, è ovvio che posso… possono esserci riserve per le persone, o per edifici militari o ufficiali, ma non per una casa della cultura. Ma lei molto seriamente dice che non lo sa e che non c’è la direttrice cui chiedere; dico che allora, in mancanza di divieti, fotografo. Penso sempre di fare una battuta inutile, ma lei commenta che se tutti facessero come me ce serait la pagaille. Arrogante faccia da… maleducata, come spesso chi ha la puzza sotto il naso. Pensate se tutti coloro che fotografano San Pietro dovessero prima chiedere il permesso al papa o a un suo rappresentante…
Mercoledì 2 aprile. È sereno, andiamo al lago di Ichkeul (ingresso 10 km a sud di Tinja, si entra con l’auto per 2,7 km.), che ci è piaciuto abbastanza ma senza vedere uccelli, e alcuni cartelli spiegano che i migratori che vengono a svernare qui ne partono quasi tutti a febbraio, alcuni a marzo; sempre alla faccia del Routard che assicura che il periodo migliore per vederli è marzo-aprile e che è vietato fare foto. Ma non starò a raccontare tutti gli errori e i cattivi consigli di questa come di alcune altre guide. Credo che abbiamo fatto male a saltare Utica (casa della cascata; necropoli punica), lungo la strada.
Sera a Sidi Bou Said, città che vive evidentemente di turismo, ma è graziosa, linda, con belle viste e belle vie e viuzze tutte costeggiate da case bianche e blu. Nulla di eccezionale, ma gradevole, tanto più in una bella giornata serena e in un periodo con pochi turisti, soprattutto nella parte alta.
Giovedì 3. Durante la notte io ho dormito bene ma gli altri tre malissimo a causa del forte vento e di vari rumori oltre che del TGM vicino (il trenino da Tunisi a Cartagine e oltre) ed hanno deciso di cambiare posto per questa notte, cosa che va bene anche a me che avevo pensato di ritentare di andare al porto punico, cercato invano ieri a causa della imprecisione della carta. Ma dato il vento e il brutto tempo decidiamo di andare prima al Bardo. È facile arrivare in camper fino al parcheggio interno del Bardo, se si dispone di una mappa di Tunisi e si seguono le indicazioni (a volte difficili da vedere).
Visita entusiasmante per tutti: se avete poco tempo e dovete scegliere fra questo e Sidi Bou Said, va scelto il Bardo senza alcun dubbio.
Al pomeriggio un giro al Belvedere di Tunisi, che non è un gran che, con un parcheggino in cima con poca vista; forse la vista buona è dagli hôtel, Hilton o Sheraton o altri più esclusivi.
Poi verso Cartagine. Sapevo da ieri che l’uscita sulla GP9 veniva dopo quella per i giardini di Cartagine e che era mal segnalata, per cui ho fatto girare a destra senza vedere indicazioni: troppo presto, sullo svincolo che porta al ponte per attraversare la GP9; poco male, basta fare il ponte e tornare indietro alla rotonda… ma fortunatamente accanto alla rotonda c’è l’ingresso al Carrefour che fa comodo visitare.
Arriviamo al porto punico, dove parcheggiamo sulla riva del lago e davanti al museo oceanografico, dove c’è il custode notturno e possiamo dormire al sicuro.
Alla radio da qualche giorno abbiamo trovato una stazione ottima, Radio Tunis internationale, che parla poco, qualche sintetica notizia e poche frasi di commento, alternate a canzoni, le une e le altre in varie lingue, francese, italiano, inglese, spagnolo, pronunciate molto bene; non si capisce perché non facciano qualcosa di simile in Italia. Qui la gente pronuncia bene le varie lingue e al Bardo abbiamo sentito la venditrice di libri proporne perfino in russo ad un gruppo di turisti.
Sabato 5 (dopo un giorno di riposo per tempo brutto e stanchezza nostra) il tempo è discreto; decidiamo di visitare i siti archeologici e poi partire per il Cap Bon. I siti risultano molto più interessanti del previsto perché ben sistemati e presentati, e ancor più piacevoli per la presenza di alberi e fiori; i pochi resti diventano molto istruttivi. Iniziamo dal Tophet, perché è vicino a noi e ci andiamo a piedi (i porti sono ancora più vicini, ma qui non danno i biglietti, che sono cumulativi per tutti i siti). Si tratta di un luogo di sacrifici in sui sono state trovate molte steli funerarie riportanti simboli vari, fra cui soprattutto quello di Tanit e quelli del sole e della luna.
Il sito dei porti è il più povero di resti ma forse il più interessante perché fa vedere come era il porto militare punico, come poi è stato trasformato dai romani che hanno aperto a mare il porto militare, al tempo punico accessibile solo attraverso quello mercantile, e vi hanno costruito all’interno due templi, uno rettangolare e uno circolare; e come stanno ricostruendo ora con gli scavi.
Si potrebbero benissimo girare a piedi tutti i siti, impiegando poco tempo e poca fatica in più; ma noi ci portiamo appresso la casa, così possiamo mangiare quando vogliamo e poi partire subito per Nabeul. Il successivo è il quartiere di Magone, dove portiamo il camper, che si potrebbe parcheggiare comodamente per la notte anche qui, in uno slargo quasi in riva al mare e vicino alla polizia. Qui è interessante vedere il ritrovamento delle fondamenta delle case puniche sotto quelle romane. Del piccolo museo mi è parso interessante soprattutto il plastico delle cave di pietra di El Haouaria a cap Bon (attualmente chiuse), in cui scavano e preparano le pietre tagliate e poi le estraggono dall’alto.
Proseguiamo (a piedi) per il parco archeologico delle terme di Antonino, uno dei siti più ricchi di resti e più noti, facile da percorrere perché ha tutte le indicazioni, sia per due percorsi suggeriti, uno breve e l’altro completo, sia per ogni zona, ben segnalata e spiegata (es. “cappella di Asterius”), e piacevole da girare in mezzo alla natura. Curiosa la ricostruzione in plastico delle terme, con cupole e con tetti a spiovente.
Spostiamo il camper presso le ville romane, quinta tappa del nostro giro; ma credo che sia meglio parcheggiare davanti al teatro, dove c’è un comodo piazzale; qui è andato bene perché siamo fuori stagione, ed ha avuto il vantaggio che abbiamo potuto pranzare all’ombra di curiosi alberi, accanto a case signorili. La zona delle ville non ha le spiegazioni, ed è meno piacevole anche come paesaggio, più brullo e forse in corso di allestimento (ci sono filari di piantine appena messe a dimora, fra cui rosmarini), e probabilmente in corso di scavo. Ci sono molti mosaici accatastati al riparo sotto vani coperti a botte (cisterne?). Non abbiamo trovato l’Odeon annunziato ma di cui non è indicato il posto preciso; l’unico edificio a base rotonda è tropo piccolo e sembra piuttosto un tempio; un bell’edificio in alto, con colonne e bei mosaici, non so cosa sia ma ha base rettangolare.
Di scarsissimo interesse il teatro, quasi completamente ricostruito.
Interessante l’acropoli con belle viste sulla costa e sulla città attuale, il quartiere punico e pochissimi resti dell’acropoli romana, le tombe puniche, il museo con la proposta di aspetto della città punica e poi di come i romani l’hanno distrutta.
Infine, proprio prima di partire, andiamo ancora a vedere le cisterne, che a noi sono parse molto interessanti, anche per il richiamo all’acquedotto visto il primo giorno, che da Zagouan arriva fin qui, in una quantità enorme di cisterne costruite su tre livelli diversi per alimentare i vari quartieri della città. Tutto è stato molto interessante, con alcuni siti organizzati molto bene.
Partiamo per Nabeul, per fare la penisola di Cap Bon tenendo la costa sulla destra, come secondo me si dovrebbe sempre fare se non ci sono motivi più validi per farlo in senso contrario, e saltando Hammamet che proprio non ci interessa. Sul Bac, capita un incidente che dovrei raccontare con suspense. In sintesi: nello sbarco, distratti da un lavavetri, grattiamo un’auto vicina cui dovremmo pagare i danni; mi stupisce, ma sono pronto a dare gli estremi della assicurazione; l’altro non vuole, vorrebbe un piccolo compenso, non vuole una denuncia assicurativa; solo dopo mi accorgo che era lui ad essersi avvicinato alla nostra portiera, rigandola, per provocare l’incidente e rimediare quattro soldi in contanti, d’accordo con il lavavetri; quando ha visto che non riusciva ha fatto il bel gesto e se ne è andato… e io mi sento un allocco.
Poi siamo passati da Mornag per la C34, poi per la C27 bella in bei paesaggi; ma credo che sia meglio prendere la P1 (frecce per Sousse non autostrada) fino a Grombalia e, dopo circa 2 km, a Turki, ad una rotonda, la C27 a sinistra, ben segnalata, seguendo le indicazioni per Nabeul.
Andiamo subito all’ostello della gioventù. Lo gestisce una simpatica famiglia di tutte donne (ma non ho chiesto il sesso del bebé). Facile arrivarci e comodo: tutto diritto per la via principale (av. Bourghiba), che dopo la stazione ferroviaria diventa un vasto viale con passeggio centrale bello e frequentato, fino al mare, dove si deve svoltare a sinistra; in fondo a destra e di nuovo svolta obbligata a sinistra sul lungomare; in fondo lo si vede, a 100 metri in terra battuta. L’aspetto è dimesso, ma è pulito (almeno ora, fuori stagione), tranquillo, non caro (7DT + 3 per acqua e luce) e si può raggiungere a piedi il centro percorrendo il lungomare e il bel passeggio centrale.
Cena al ristorante Le bon kif (kif qui significa “piacere”, in Libia “hascis”) con ottimi frutti di mare.
Domenica 6 aprile. Laguna di Tazerka, con molti fenicotteri ben visibili; ancora più numerosi nelle lagune dopo Korba, dove non ci fermiamo più perché ne abbiamo già visti e filmati quanto basta… e perché vogliamo arrivare a vedere Kerkouane, che domani lunedì sarà chiuso e oggi chiude alle sei. Avremmo voluto vederlo più a lungo. Unica città fenicia rimasta e perciò interessante per chi se ne interessa… Notevole la presenza di bagni in tutte (o quasi) le case, tremila anni fa! Gli europei non avevano lo stesso gusto per igiene e pulizia…
Pensavamo di dormire a Kerkouane (come avevano fatto altri camperesti), ma il custode dice che non si può (neppure fuori del sito) e ci manda ad un vicino campeggio che dapprima cerchiamo invano; ci fermiamo a chiedere alla GN ferma proprio davanti all’entrata del campeggio, e loro ci raccomandano di non fermarci lì e di andare al El Haouaria.
Sosta raccomandata a El Haouaria, all’uscita del paese in direzione delle cave (“grottes”, ora chiuse), davanti all’hôtel e ristorante des grottes, un ridicolo edificio neo-tutto (punico-romano-azteca e magari anche gotico), ma in un bel posto, con bella vista su molti mulini a vento, sul mare e sul sole al tramonto perché è già oltre la punta e quindi con il mare a ponente; soprattutto c’è un custode notturno dell’hôtel che garantisce sonni tranquilli. Il posto è esposto al vento, ma se ce n’è troppo si può chiedere all’hôtel di parcheggiare nel cortile, riparato.
Lunedì 7, voglio arrivare a Tunisi perché per il compleanno di mia moglie ho prenotato in internet prima di partire un tavolo nel miglior ristorante della Tunisia. Per ora andiamo alle cave romane, ma sono chiuse per motivi di sicurezza. Anche la difficile spettacolare strada costiera dopo Korbous è chiusa; dobbiamo tornare indietro, e la deviazione fatta fino a Korbous non merita.
A Tunisi arriviamo molto facilmente al parcheggio Mohammed V, in av. Mohammed V (di fronte a rue Ghandi), a pochi isolati dalla av. Bourghiba. Custodito giorno e notte, per 6 DT per 24 ore per i camper.
Andando verso av. Bourghiba si passa davanti all’ente del turismo, a 100 metri dal parcheggio: ci danno una carta stradale della Tunisia ed un’ottima pianta della medina di Tunisi con le indicazioni delle cose principali da vedere. Passeggio centrale in av. Bourghiba, poi av. de France, arco de la Victoire; attraversiamo la medina percorrendo la lunga Jamaa Zitouna fino alla grande moschea, subito prima della quale, sulla destra, ci sono i tavolini di un ristorante sempre pieno a mezzogiorno ma chiuso alla sera: ci verremo nei prossimi giorni e lo raccomando per l’ottimo rapporto qualità-prezzo, ma a prezzi molto bassi e non so se adatto a tutti i gusti: couscous, tajine, e soprattutto la testina d’agnello, che qui va a ruba.
Proseguiamo fino a place du gouvernement, place de la casbah e i nuovi edifici che la circondano. Il ristorante prenotato, Dar el Jeld, (prenotazione obbligatoria 560916) non è segnalato. Suono, una austera signora dice che apre alle 20 e richiude. Aspettiamo nella piazza sopraelevata dove molti giovani giocano a calcio o altro e mamme con bimbi si godono la mite serata.
Cena ottima, servita ottimamente in un palazzo molto bello, per 108 DT in due compreso un buon Muscat di Kebilia, con tre piatti, prima un ottimo fritto di frutti di mare: è un crescendo di qualità (e di prezzi) da Sfax a Tabarka a Biserta a Nabeul per concludere qui. Torniamo al camper in taxi, per 3,5 DT, ma il taxista si è scusato per il giro troppo lungo dovuto al fatto che non conosceva il posto del parcheggio.
Tunisi, 8 aprile. Di notte abbiamo sentito piovere, ma non era pioggia, era sabbia del deserto e al mattino tutte le auto sono coperte da uno strato di sabbia. Proprio come sulle alpi, quando nevica rosso… dico io fra lo stupore dei tunisini…
Incominciamo da alcune zone della città coloniale, da via Ghandi a av. de Paris, rue du Luxembourg, place République con la stazione dei tram, av. de la liberté fino a rue de Lyon e ritorno, av. Thameur e rue de Rome, per sbucare in Bourghiba accanto alla cattedrale. È quasi ora di pranzo e andiamo direttamente verso la grande moschea, al ristorantino Mahdaoui, modesto ma relativamente pulito, anche se con tavoli senza tovaglia e puliti rapidamente ad ogni cambio di clienti con uno stesso strofinaccio, e con gente in coda che aspetta che tu ti alzi. Ho mangiato un’ottima testina di agnello (in realtà di pecora: grossa, ma tenera) e un piatto di contorno con un uovo fritto, patatine, naturalmente harissa, ecc. per 5,5 DT; per lo stesso prezzo un couscous buono e abbondante, Dieci pasti così al costo di uno di ieri, ma non ha senso fare confronti: entrambi ottimi nel loro genere e come rapporto qualità-prezzo.
Dopo pranzo la moschea, aperta fino alla 14.30; ma è visitabile (a pagamento) solo il cortile e il custode bigliettaio la sconsiglia dicendo che è molto meglio quella di Kairouan dove si può arrivare a vedere e fotografare bene l’interno anche restando sulla porta (infatti così è stato), mentre qui si resta bloccati lontano dalla porta d’ingresso e non si vede bene l’interno. Ringraziamo e entriamo nel “Musée”, un negozio con terrazza a pagamento da cui si dovrebbe vedere bene il cortile della moschea, e non è vero. Girelliamo a lungo i vari souk attorno alla moschea, ben segnalati e suggeriti da ogni guida o dalla carta della medina presa all’ente del turismo, poi al mausoleo Tourbet el Bey, tomba dei principi e principesse husseniti, sistemati in due stanze diverse maschi e femmine; ma un principe si è permesso di avere più di quattro mogli, limite massimo consentito, perciò è in peccato: non l’hanno sepolto assieme agli altri, bensì in una stanza a parte assieme a tutte le sue mogli, a perpetua ignominia… e forse anche punizione, paradossale o ironica, da vero contrappasso (come era quello dantesco, che non era di opposizione come di solito si pensa, bensì consisteva nel vivere eternamente ciò che in terra si era voluto: proprio come Paolo e Francesca, il cui “mal perverso” consisteva proprio nel restare per sempre uniti: nulla di peggio che un matrimonio eterno, per degli adulteri!). comunque non vennero buttati fuori, in terra sconsacrata, come avrebbero imposto le nostre chiese: c’era mediamente più tolleranza (oltre che più pulizia) nell’Islam che da noi, e anche ora, a parte alcuni stati molto poveri e arretrati, nel complesso la gente è meno intollerante e integralista di quanto non sia nella provincia americana o nel nostro lombardo-veneto, dove si continua a parlare di costo del proiettile per la vita dei giudici o di secessione armata o di altre piacevolezza del genere da galera o da manicomio [e al rientro in Italia verifico quanto proprio questo venga approvato e votato dalla gente]. Anche in Islam ci sono fanatici, ma almeno in buona fede e pronti a morire e non solo ad ammazzare, e sono comunque una minoranza, numerosa solo in casi eccezionali come fra i palestinesi esasperati da decenni di oppressione…
Il vicino museo dell’artigianato è già chiuso e ci torneremo domani. Ancora Dar Othman, bel palazzo oggi sede degli uffici per la preservazione della medina, con entrata libera.
Usciamo dalla medina verso rue d’Espagne e rue d’Allemagne, fra cui è il mercato di alimentari, che però al pomeriggio è chiuso. Altre case di origine coloniale in questa zona, in rue de Yougoslavie, poi rue de Marseille, dove c’è la pasticceria Les Gourmandises, consigliata dall’ente del turismo: sembra una gioielleria, con piattini con pochi esemplari di ogni tipo di pasticcini con il loro nome davanti; prezzi assai più bassi di quelli delle nostre migliori pasticcerie, ma sempre alti, e per loro altissimi (in media 40 DT/kg). Ci proponiamo di fare rifornimento prima di partire per portare assaggi a parenti e amici, ma il giorno dopo al solito ristorantino Mahdaoui una giornalista che si siede al nostro tavolo ci suggerisce una pasticceria di valore equivalente ma di costi inferiori (almeno 20-30% in meno, e una presentazione più da pasticceria che da gioielleria…), La Perle, 66 av. Bab Djedid, dove dopo qualche assaggio faremo ampi rifornimenti per il rientro…
Tunisi 9/4. Oggi è festa, “giorno dei martiri”, anniversario di un massacro o comunque ricordo di uccisioni, anche di donne e bambini, da parte dei francesi occupanti. Ieri un tizio passando ci ha detto qu’est-ce-que vous foutez encore par là. Quindi oggi “tutto chiuso”; un poliziotto crede che sia per l’indipendenza, e dice che è tutto chiuso solo al mattino. Poi vediamo negozi aperti, e un altro ci dice che sono chiusi solo gli uffici pubblici, compresi i musei. Andiamo ugualmente a quello dell’artigianato e lo troviamo aperto, ma piuttosto deludente.
Di nuovo nella medina, subito a sinistra (rue de la commission), nel bailamme di un mercato popolare con pochi turisti. Entriamo davanti a rue d’Espagne, dove eravamo usciti ieri, ma sempre con molto più traffico. Il museo è in un bell’edificio ben allestito, ma ridotto all’osso, con poche cosette. Torniamo su rue des teinturiers e con qualche difficoltà giriamo a sinistra verso rue el ariane, che all’inizio si chiama rue Boussen, non scritto sulla carta.
Sbuchiamo appena in rue Tourbet el Bey, per uscirne subito dopo a destra, seguendo l’itinerario suggerito nella mappa fino alle tre mederse, poi l’Hamman Kachachine e di nuovo il ristorantino. Poi torniamo alla rue des libraires; subito dopo la place du château un signore entra in una casa di cui stiamo ammirando la porta, e lui ci invita a entrare. Fotografiamo il cortile; mi pare che lui abbia invitato anche ad entrare in casa, ma non ne siamo sicuri e ce ne andiamo ringraziando. Girelliamo per le vie d’intorno alla ricerca del Dar El Haddad, ma quando lo troviamo è chiuso. Arriviamo al caffé M’Rabet, il cui aspetto è tipico, ma il caffé è una schifezza, accettabile giusto per i francesi… In Turchia ne ho bevuti di ben migliori; oltre al fatto che ne chiedo uno espresso senza zucchero e l’altro turco con zucchero, entrambi decaffeinati, e ce ne servono due identici, turchi, pessimi, dolci, ricchi di caffeina che non ci lascerà dormire.
Souk el trouk, souk el Bey, la moschea Yussef Dey e finalmente la rue Dar el Jeld, quella del ristorante omonimo della prima sera, che non avevamo ancora percorso. Entriamo a vedere il Diwan, l’altro ristorante dello stesso proprietario, che fa anche esposizione e vendita di oggetti da museo, molto belli. Avanti fino a rue du pacha. Rientro…
Tunisi, giovedì 10, ultimo giorno. Ultimi giri per la medina e acquisti di regali e di dolci. Ma non ho più registrato nulla sul diario…