Pubblicato:
09/06/2009 da
cieco
Periodo:
09/06/2009 - 25/06/2009
(16 giorni)
Non specificato
1. giorno - Martedì 9 giugno - Acilia (Roma)-Brindisi – Igoumenitsa-Ioannina - 690 km di strada e un centinaio di mare
Un viaggio in camper lo prepari mesi prima e lo cominci a sognare soprattutto nei momenti stanchi della vita di ogni giorno. Succede a volte che i compagni di viaggio litighino la sera prima di partire e ti chiamano per dire che non vengono più. Il sogno sembra crollare, poi prevale il senso di responsabilità e si parte. Comunque siamo un equipaggio bislacco anche se collaudato. Una coppia di sessantenni, una coppia di cinquantenni, un single impenitente e salvatensioni. Il Mclouis che ci sostiene per fortuna è nuovo. All’alba del nuovo giorno riusciamo a partire con una sola ora di ritardo che per noi è un’impresa notevole, meno per Tony che attende con la sua roba in strada.
Usciamo dall’autostrada e pranziamo nei pressi del porto di Barletta (425 km) dopo aver fatto spesa nel mega centro commerciale di Andria.
Pino aveva una stanchezza arretrata ed ha dormito per tutto il viaggio. In realtà deve farsi vedere dal dottore perché come si siede tranquillo si addormenta e dice che non è tanto normale.
Arriviamo a Brindisi alle 17.20 dopo 610 km e 10 ore di viaggio, una media da gente tranquilla.
La Ionian Queen della Endeavour Lines (circa 500 euro a/r) che ci scorrazzerà fino a Igoumenitsa è nuova di zecca perché appena ristrutturata ed è il primo viaggio che compie dopo la revisione. Ha tutti i comfort, doccia e piscina inclusi.
Il mare è nero come il petrolio, nessuna luce dalle coste dell’Albania. Dormiamo in Open Deck rumoroso e dopo 7,30 ore di traversata, sbarchiamo con mezz’ora di anticipo rispetto alle 2,30 previste. La Egnazia Odos, prolungamento dell’Appia romana per raggiungere il Bosforo (in realtà la vera Via Egnazia partiva da Durazzo), inizia direttamente dal porto di Igoumenitsa e la percorriamo per 70 km fino a IOANNINA, dove sostiamo per il resto della notte nel Parking vicino al lago (2 euro/ora), in pieno centro, impauriti dagli urli di uccellacci appollaiati sugli alberi. Volevamo arrivare a Salonicco, che dista ancora 250 km, ma un amico ci ha consigliato di fare acquisti di filigrana a Ioannina.
2. giorno - Mercoledì 10 giugno - Ioannina-Penisola di Sithonia - 400 km
Rimettiamo l’orologio avanti di 1 ora perché la Grecia ha un altro fuso orario e acquistiamo deliziosi oggetti in filigrana d’argento. La lavorazione è molto delicata ma le cose più belle sono troppo care per le nostre tasche. Comunque con 10 euro prendiamo un bel paio di orecchini per Giulia Rosita. Verso le 11 ci rimettiamo in marcia sulla Egnatia Odhos nutriti dallo yogurth speciale di Adriana preparato a casa. Dopo 5 ore e mezza siamo a Thessaloniki (Salonicco) ai cui abitanti è indirizzata la lettera più antica del Nuovo Testamento e alle 18, a 80 km da Saloniucco, raggiungiamo finalmente la penisola di Sithonia, il secondo dito dei tre della Penisola Calcidica, dalla quale possiamo ammirare il terzo dove svetta maestoso il Monte Athos con i suoi 2033 mt, inaccessibile ai comuni mortali e alle donne. Qui è il cuore del cristianesimo monacale greco, l’Ortodossia più pura.
Il Camping LACARA (43 euro) è alberato e possiamo sistemarci quasi con vista mare, il più bello che vedremo in tutto il viaggio. Tutta la penisola è un parco naturale con flora mediterranea. Ricorda un po’ la Corsica. Il bagno ci rigenera come le sarde grigliate e le alici fritte che un ragazzo dalle mani nere di vernice per il lavoro diurno ci prepara velocemente e graditamente (5 euro a porzione).
Dove nascerà il sole? Dietro Monte Athos, sul mare, sulla penisola di Sithonia. Si accendono lunghe discussioni geografiche e astronomiche tra i maschi (le femmine non si cimentano nemmeno è notorio) che saranno vanificate l’indomani dal sole stesso che apparirà dove vuole lui in nessuno dei tre posti da noi indicati.
Per fortuna un grande gelso ci offre generosamente i suoi frutti maturi, abbondanti e dolci
3. giorno – Giovedì 11 giugno – Sithonia-Alessandropoli - 400 km
Sithonia è ancora più bella. Il sole non è sorto dietro Monte Athos e mi sono riconsolato perché ho recuperato le mie fondamentali coordinate geografiche, anche se il sole non fa un arco di 180° ma più breve e contorto. Mattinata libera. Chi rimane in spiaggia, chi fa lunghe nuotate e cerca cozze, chi va in bici a fare foto dall’alto. Io cammino lungamente per la costa per spiagge deserte. Faccio il bagno nudo e prego dentro l’acqua ascoltando la gravità della mia voce con le orecchie immerse nella posizione del “morto a galla”. E’ come se le parole che rivolgo al Signore fossero più forti e più profonde. Potremmo chiamarla preghiera idrica o talassica. L’effetto è una pace profonda e una sintonia (anzi Sithonia) con l’universo e l’energia che lo sostiene.
Pranziamo al camping. Uno dei tanti aspetti positivi di viaggiare a giugno è che non ti sbattono fuori a mezzogiorno per il check-out, ma puoi metterti d’accordo con il gestore (se è gentile e comprensivo).
Decidiamo di ripartire con il fresco, verso le 16, dopo aver fatto una puntata in avanti fino a Sarti. Riprendere la Egnatia Odos sarà un impresa di circa 3 ore per stradine non proprio diritte. Alle 20.30 arriviamo ad ALEXANDROPOULOS dopo aver seguito l’unico tedesco sulla faccia della terra che non sa dove andare. Questo sòla di un Werder Brema ci fa parcheggiare sul litorale che dice di conoscere ed è tranquillissimo. In realtà la città è un misto tra Torvaianica e Ostia e il brutto e inquinato litorale è pieno di motorini che promettono di non farci dormire. Il primo a capirlo è Werder Brema che se ne va con la coda tra le gambe senza neanche salutarci. Noi dopo aver cenato con Kebab (30 euro) decidiamo di spostarci e raggiungiamo un parcheggio LYDL proprio all’imbocco del raccordo per la Egnatia. Ottima idea. Siamo a soli 40 km dal confine. Dormiamo tranquillamente, nonostante le prime tensioni nella coppia di cinquantenni che la accompagneranno per quasi tutto il viaggio.
4. giorno – Venerdì 12 giugno – Alessandropoli – Canakkale – Troia – Kucukkuyu – 310 km
Sveglia alle 6. Alle 7 siamo alla frontiera con la Turchia dopo aver percorso 1400 km. C’è poca gente dovremmo sbrigarcela in fretta. Purtroppo il camper è intestato ad un genero del proprietario e così il poliziotto ci spiega che senza un fax da Roma che ci autorizzi s girare per la Turchia con un mezzo non nostro non si passa. A Roma sono le 6 e non è il caso di svegliare anticipatamente il generone che però è stato bravissimo ad andare puntuale in delegazione per fare l’atto notorio. Alle 10.30 già ripartivamo udendo in lontananza le sghignazzate del clan rimasto a casa. La Turchia ci accoglie con un mare di sorrisi e di risaie. Le strade sono buone ma il fondo è ruvido e rumoroso. Attraversiamo lo stretto di Dardanelli tra ECEBEAT e CANAKKALE in 15 minuti (32 euro) dopo aver mangiato al parcheggio di uno dei tanti ipermercati KAPA disseminati in Turchia. La strada si imbruttisce. Visitiamo TROIA (TRUVA) e i suoi 9 strati della sua plurimillenaria (5000 anni) storia. Il sito è molto più bello e interessante di quanto dicano le guide. Si può notare la spianata che precedeva la città (il mare arrivava fin dove oggi ci sono terreni coltivati) come è mostrato nel recente TROY con Brad Pitt. La città di Omero non guardava il mare da cui la difendeva un alta cinta muraria (VI Troia). La visita costa 16 TL (Lire Turche) che non abbiamo. Per tutti i pagamenti ufficiali accettano solo TL, per il resto va bene l’euro che è cambiato 1 a 2 mentre in realtà varrebbe un po’ di più. Tornati in Italia capiremo che 300 TL valgono 140 euro. Per questo un gentile signore è corso gratis con un motorino per cambiarci 50 euro con 100 TL.
L’atmosfera tra i cinquantenni è sempre più tesa, le lamentele sulla mia velocità di guida (90 kmh) anche. Accosto e dico che non sono capace di guidare diversamente. Il sessantenne si arrabbia di brutto ritenendolo un gesto gravissimo. Arriviamo a KUCUKKUYU in un camping senza nome e senza pretese (10 euro in tutto). Siamo soli sul mare. Il bagno serale ci rigenera dopo tanto caldo. Prego. Chiedo luce. Non ceno. Si riprende la discussione con calma ma si riaccende in parte. Se può servire a qualcuno oltre che a me, compilo questo decalogo per analizzare la situazione:
5. giorno – Sabato 13 giugno – Kucukkuyu – Pergamo – Kusadasi - 360 km (7 ORE!)
Distese sconfinate di olivi. Acquistiamo olio, olive e sapone da un vecchio turco sdentato felice con suo figlio. Inglese niente. Parliamo con i foglietti. L’olio ci viene 4 euro al lt.
Pergamo (Bergama, 20 TL per la visita) è una cittadella fortificata posta in alto. Oggi ha a valle un lago artificiale. Il vento è fortissimo. Edificata a partire dal 5. sec. aC ha uno splendido resto del tempio con pavimento marmoreo fatto di lastre di ca 200x150x30 cm. Il teatro in pendenza fortissima era capace di 10000 posti, il più grande dell’Asia di quel tempo. Bella anche la fortificazione delle mura verso la valle. Che qui sia nata la pergamena importa a pochi e non c’è rilievo turistico-commerciale.
Faccio arrabbiare un venditore di souvenir perché abbasso troppo nella contrattazione, ma avevo ragione. Quel derviscio di bronzo l’avrei pagato qualche euro in meno.
Mangiamo su uno spiazzo alberato ai piedi dell’Acropoli tra cardi altissimi dai fiori violacei bellissimi.
Anche la cittadina in festa è vivace con stands svolazzanti in modo molto pericoloso.
Ripartiamo alle 16.30 e arriviamo alle 20.30 a Kusadasi (230 km), una cittadina rivierasca di alto turismo e di grandi alberghi, tipo Santa Margherita Ligure. Sembra un’altra Turchia. Pernottiamo al MOCAMP, un camping fatiscente residuo di un progetto alberghiero fallito (25 TL), a Pygela Plaj, prima di Kusadasi e vicino alla Pine Bay. Devastazione cementizia aberrante di una splendida baia. Siamo a 15 km da Efeso
A IZMIR (Smirne), che ha uno splendido lungomare a verde ed è posta in una splendida posizione, abbiamo preso la prima autostrada turca, confortevole e a 3 corsie. Costa pochissimo.
A 80 all’ora non si va lontano. Stiamo troppo nel camper e nelle ore calde, senza usare l’aria condizionata. Arriviamo a fine giornata sempre accaldati e stressati
Dovremmo viaggiare più veloci e nelle ore fresche.
L’atmosfera è meno tesa. Tra noi due silenzio, spero d’attesa di tempi migliori. Abbiamo festeggiato sant’Antonio con un vino da 15 euro di Pamukkale, buonissimo, pasta ai calamari, comprati a Canakkale, preparata da Rosa.
6. giorno - Domenica 14 giugno – Kusadasi-Efeso-Pamukkale - 240 km
Oggi giornata archeologica e forse cristiana. Bellissime moschee dappertutto. Crescono contemporaneamente e forse prima dei nuovi quartieri. Pare che ce ne siano una ogni mille abitanti e quindi 40 milioni. Il mare turco invece non vale quello greco.
In Turchia come arrivi in qualche posto sei prelevato o interpellato da qualcuno che ha qualcosa da venderti. A Efeso l’organizzazione è particolarmente sofisticata. Una guida ti propone di salire a Efeso alta con un pulmino gratuitamente e di fare la vista in discesa anzichè in salita, tornando quindi al punto da cui saresti partito. Per questo risparmio di tempo e di fatica sei obbligato a vedere la lavorazione dei tappeti. Accettiamo la proposta e dopo aver visto come si fanno i tappeti a mano (da 2 mesi a 5 anni di lavoro), ne acquistiamo due di cotone in cambio di 1200 euro e un pranzo per 7 persone (drinks a parte come sempre, 20 euro nell’occasione). Faruk il venditore che rappresenta 2000 famiglie turche in cooperativa, è una persona squisita e gentile, parla abbastanza bene italiano ed ama Ataturk. Come concordato ci portano con un pulmino più scrauso nella parta alta della città.
Efeso è un sito archeologico di una bellezza straordinaria. L’ingresso costa come al solito 20 TL. Vi abitavano 200.000 persone ed aveva un porto sul mare mentre oggi è nell’entroterra. Il sito è conservato benissimo, le due vie principali sono pressoché intatte. Fenomenali sono il teatro da 24 posti e la biblioteca di Celso, costruita dal figlio Giulio.
Raccontare l’audioguida sarda fa molto ridere Rosa e rende contento me che finalmente la vedo ridermi. Al teatro rimaniamo un’ora perché incontriamo i pistacchi turchi che fanno duemila a testa in giù e Stan ed Elisabeth.
I pistacchi turchi sono un folto gruppo di ragazzini con gli insegnanti, tutti con una maglietta gialla, che obbedientissimi si sistemano sugli spalti per formare il numero 2000, di cui ci sfugge il significato. Stan è un architetto cristiano strambo dell’Oklahoma in missione in Turchia con una tromba ed Elisabeth è sua figlia diciottenne che fotografa tutto ma non bacia sulla guancia. Suoniamo e cantiamo insieme l’Ave Maria e una strana ragazza italo-colombiana viene a ringraziarci tutta emozionata con le sue amiche.
Dopo l’Ave Maria leggo il passo degli Atti (cap. 19) che ci ricorda che in questo teatro Paolo aveva predicato intensamente e l’orefice Demetrio aveva chiesto la sua incarcerazione perché nessuna comprava più le statuette di Artemide costruite da lui e dagli argentieri di Efeso. Mentre leggo Elisabeth fotografa tutte le pagine con entusiasmo ed eccitazione. Inutile dire che ce li portiamo a pranzo dopo aver preso un aperitivo di succo di melograno.
Dopo pranzo visitiamo il sito dove Maria ha vissuto gli ultimi anni della sua vita e si è addormentata (Dormizione ortodossa) per essere accolta in cielo (Assunzione cattolica). MERIEM ANA è il nome con cui i turchi chiamana la Santa Maria, la Madonna. Mi viene subito in mente il caro don Andrea Santoro, ucciso qui in Turchia da un ragazzetto armato da qualcun altro. Aveva scritto una preghiera intitolata proprio così:
dove ti offristi con Gesù ai piedi della croce,
dove raccogliesti il soffio dello Spirito Santo,
dove giungesti con Giovanni “tuo figlio”
inviato in missione dallo Spirito : prega per noi.
Maria madre delle pecore fuori dall’ovile,
madre di chi non conosce tuo Figlio,
madre di coloro che “non sanno quello che fanno”: prega per noi.
madre dei figli che uccisero tuo Figlio,
madre del figlio non ritornato: prega per noi.
Maria madre di chi non lo ha seguito,
madre di chi non è stato chiamato: prega per noi.
Maria madre di coloro che vanno come Giovanni
madre di quelli che scendono agli inferi
per annunciare ai morti la Vita: prega per noi.
vieni nella casa dove mi chiedi ad abitare,
vieni nella terra dove mi chiedi di andare,
vieni tra gli uomini che mi chiedi di amare,
vieni nelle divisioni che mi chiedi di sanare,
vieni nei cuori che mi chiedi di visitare,
vieni Maria a darmi il tuo cuore di madre.
“Meryem anà”, “Maria Madre” di tutti i popoli,
Il sito è a pagamento per mantenere il comune di Selguk. Qui tanti papi hanno pregato e c’è una bellissima icona con Gesù che prende in braccio Maria bambina. L’originale avremmo dovuto vederlo a S. Salvatore in Chora, ma non ci riusciremo. E’ domenica ma la messa la celebrano solo la mattina, come tutti i giorni. Siamo su un cucuzzolo con vista sul mare a 8 km da Selguk
La basilica di San Giovanni, con la sua tomba, è invece su una collina in città. I resti testimoniano di una basilica che era la più grande della cristianità nel V sec. Fu costruita da Giustiniano e Teodora.
Verso le 20 ci dirigiamo verso Pamukkale dopo aver comprato 2 copritavola da uno strano tizio (Mehmet) che voleva scambiare tappeti per la bicicletta di Rosa per regalarla a un cugino. Dopo il primo affare abbiamo scambiato acqua minerale per la pasta italiana e Cartoline turche per un pacchetto di Marlboro. Arriviamo a Pamukkale alle 23 (200 km, 3 ore) e un altro tizio ci rincorre con la moto per portarci al suo camping. Accettiamo di buon grado per 20 TL a notte l’ospitalità del Dolphin Junus Hotel.
7. giorno – Lunedì 15 giugno – Pamukkale
Giornata passata interamente a Pamukkale e Hierapolis. 20 TL l’ingresso, senza piscina archeologica. Mi sveglio con il mal di testa figlio dei km notturni e delle bevute di Ouzo. Due Cephyl e sonno per riprendermi mentre gli altri sono già a bagno. Rimango solo fino a mezzogiorno e non mi dispiace, poi salgo e mi rinfresco nelle acque minerali e calcaree della Collina di cotone. Kale in realtà dovrebbe significare Castello, Castello di cotone.
Mangiamo qualcosa al bar della piscina. Buoni in particolare i dolci di miele e pistacchio che scopriremo tipici della Turchia. Ci sono molti russi e molte belle ragazze. Una si fa fotografare in topless sullo sfondo bianco della collina ed è una bella immagine.
La collina è unica al mondo perché unisce un miracolo della natura provocato dalle acque calcaree e uno della storia: l’antica Gerapoli infatti era costruita proprio sopra alla collina e i gerapolitani se la dovevano proprio godere. Immergersi nella piscine naturali di pietra è proibito ma ci può sdraiare nel canale dove scendono tumultuosamente le acque facendo un idromassaggio che la tecnologia non può eguagliare.
Nel pomeriggio con Tony saliamo alla tomba di San Filippo che era ottagonale, tipo Tempietto di Teodorico a Ravenna. Qui a Gerapoli Filippo fu martirizzato. Degli apostoli sembra che abbia salvato la pelle solo Giovanni, forse perché doveva proteggere la Madre di Gesù.
Decidiamo di pernottare di nuovo a Pamukkale e ripartire per Konya all’alba. Ci attendono 450km di strada che non conosciamo. Questa di partire all’alba sarà la svolta del viaggio perché si cammina con il fresco mentre le donne sonnecchiano nel letto.
8. giorno – Martedì 16 giugno – Pamukkale –Konya -478 km
Partiamo alle 4 e arriviamo a mezzogiorno. Un benzinaio dagli occhi blu ci offre del thè nella notte. Ha 62 anni ma ne dimostra di più. Albeggia presto. Attraversiamo lo sterminato altipiano anatolico con i suoi grandi laghi, le sue grandi vette, i prati fioriti: il paesaggio è bellissimo. Qua e là alberi di ciliegie e coltivazioni di oppio.
Konya (l’antica Iconio di san Paolo) ci appare scendendo dai 1400 mt dell’altipiano fertile. La piana è anch’essa immensa e contiene 2 milioni di abitanti a 1100 mt slm. L’aria è linda, fresca e luminosa. Parcheggiamo all’Otopark davanti al Museo di Mevlana per 10 TL, guidati da un ragazzino che blocca il traffico per farci accedere in direzione vietata. Galip (Vincenzo) parla italiano e ci conduce all’agenzia di viaggi che organizza serate con il Rituale dei Dervisci danzanti a pagamento (15 euro a testa). Il sabato danzano gratuitamente nella piazza, ma siamo solo al martedì e non voglio perdere questa esperienza che ho immaginato da quando ho cominciato ad apprezzare le poesie di Rumi.
Nel frattempo visitiamo il Museo-Mausoleo di Mevlana-Rumi (2 TL l’ingresso). Ci preleva subito Mehmet, un ex insegnante di liceo e ufficiale dell’esercito turco che evidentemente arrotonda la pensione facendo la guida. Ci spiega con dovizia di particolari in un faticoso anglo-francese-italiano quello che c’è dentro il museo. Prima del 1926 era una Madrassa (scuola coranica) che fu chiusa da Ataturk che evidentemente giudicava pericolosi i dervisci. Ora essi hanno scuole private dove sono ammesse anche le donne. Il museo è bello come lo è tutta l’arte orientale. Ci sono le tombe di Rumi, con il turbante sul sarcofago, e dei suoi 65 familiari, antichi manoscritti del Corano in tutte le calligrafie e gli alfabeti e in tutte le forme, anche su chicchi di riso. Rumi veniva dell’Afganistan.
Mehmet è un bravuomo. Ci chiede 100 TL. Gliene diamo 40, si accontenta, e ci guida anche nella vicina Moschea di Suleyman le Magnificent (Solimano il Magnifico), del XVI sec., dove preghiamo dopo essere entrati senza scarpe. Mehemet ci spiega la preghiera islamica e come si usa il rosario dai 33 grani che serve per la triplice preghiera ripetitiva di invocazione ad Allah che il pio mussulmano compie 5 volte al giorno per una decina di minuti. Se non ho capito male in moschea ci va chi per svariati motivi non ha potuto pregare all’ora convenuta dal muezzin. Mi regala il suo rosario d’olivo perché dice che ho il cuore di rosa. La metafora cardiaca è molto significativa per me perché ho una moglie che si chiama Rosa, la quale non è d’accordo con Mehemt che evidentemente non mi conosce.
Dopo aver conosciuto, al negozio di Mehemt Alì, Mela Sudano, un’infermiera catanese appena arrivata con l’aereo che medita di venire a trascorrere qui il resto dei suoi giorni perché si sta bene e con la sua pensione vivrebbe da regina, finalmente ci dirigiamo verso il ristorante dietro la moschea dove ci aspettano i dervisci per il loro rituale. Siamo in una sala sotto il locale. Ci sono 4 musicisti, 1 maestro derviscio e 3 danzatori, uno dei quali, il più giovane, avevamo visto all’agenzia di viaggi. Il derviscio danza con la mano destra rivolta in alto verso Dio, e la sinistra verso terra, l’umanità. Girando su un solo piede con l’altro appoggiato sopra comincia a roteare sempre più vorticosamente. L’abito si solleva e diventa come un tutù delle nostre ballerine e loro raggiungono la concentrazione mistica e forse l’estasi, l’uscita da se stessi. Siamo una decina di spettatori, tra cui due spagnoli che ribattezzo Felipe l’hermoso e Juana la Loca e un improbabile indiano fotografo ostinato con flash proibito che fa incazzare Pino.
I bambini turchi sono gioiosi, semplici e sorridenti. A uno di Konya regalo la palletta da tennis di Tony e ci giochiamo a palla avvelenata, mentre qualcuno chiede soldi. In poco tempo la voce degli stranieri che giocano si sparge tra le case dintorno e ne arrivano una quindicina e ci facciamo una foto. Decidiamo di pernottare all’Otopark invece di partire subito per la Cappadocia, meditando sui 7 consigli di Mevlana:
Sii come fiume nell’aiutare gli altri e per la generosità
Sii come sole per la compassione e per la pietà
Sii come notte nel nascondere i difetti degli altri
9. giorno –Mercoledì 17 giugno – Konya – Goreme – 250 km
Partiamo ancora alle 5 e arriviamo alle 11. Questa parte dell’altipiano anatolico è piatta e brulla. Facciamo colazione al Caravanserraglio di Sultanhani, costruito nel 1229. All’ingresso di ogni cittadina turca troviamo un cartello che sembra dare indicazioni telefoniche. Lentamente scopriamo che NUFUZ indica il numero degli abitanti e RAKIM l’altitudine.
Incontriamo la Cappadocia a Nevsheir una Matera di 80.000 abitanti. Poi Uchisar con il suo castello di groviera di pietra. Le rocce e i camini di Goreme visti dall’alto ci entusiasmano subito. Sono il frutto plurimillenario delle eruzioni del vulcano Erciyes, alto 3976 mt, che sta sopra a Kaiseri (Cesarea di Cappadocia) e di altri due vulcani che con il concorso del vento e dell’acqua hanno modellato queste rocce statuarie di differente struttura (più friabile alla base, basaltica in cima).
A Goreme, cuore della Cappadocia, avviamo una trattativa estenuante con Kadir e Enchnoor, una ventiquattrenne efesina che si mariterà in agosto, bella come Noor (Luce) di Giordania, titolari di una agenzia che organizza escursioni, per organizzare i due giorni che passeremo qui. Alla fine strappiamo le seguenti condizioni: mongolfiera e tour con pulmino con pranzo a 121 euro a testa, senza guida ma con autista.
In realtà la Cappadocia andrebbe visitata con un trekking di una settimana. Per noi sarebbe necessario trattenersi un altro giorno per vedere le cose che non vedremo come la città sotterranea di 8 piani, le valli più lontane, la basilica di Selime. Ma va bene così.
Alloggiamo al Goreme Camping (5 euro a testa) dove saremmo dovuti venire subito prima di trattare per la mongolfiera così ci chiarivamo meglio le idee. Stasera andiamo a letto presto perché domani dobbiamo essere pronti alle 5 per il giro in mongolfiera.
La situazione dei cinquantenni non migliora. Il gruppo manca di un leader e le decisioni si prendono troppo lentamente. Rosa ha acquistato un bel cd con musica meditativa turca.
Terra lunare, solitaria e silenziosa
10. giorno – Giovedì 18 giugno – Goreme
Sveglia alle 4,10. Visita di Goreme e dintorni dal cielo e dalla terra. Il prezzo del volo in mongolfiera (100-170 euro a seconda delle compagnie) non vale la candela. La mongolfiera dovrebbe andare più alta per godere quale ebbrezza di velocità e di altitudine invece rimane quasi sempre in bassa quota e a velocità lentissima. In un’ora ci portano da Goreme a Urgup (meno di 10 km). Comunque ci rilasciano anche un attestato di volo che esibiremo per i posteri. Il capitano è giovanissimo.
Alle 9.30 in punto arriva Mustafà che ci conduce dapprima al Castello di ORTHAHISAR, uno sperone roccioso traforato alto 86 mt che scaliamo fino in cima passando dentro la groviera di cunicoli scavati dall’uomo.
Appena discesi facciamo conoscenza di CRAZY ALI, un venditore di anticaglie poeta. Le ha tradotte anche in italiano e le leggiamo con commozione e partecipazione. Ci tiene a ripetere che lui è crazy but not dangerous e che la Cappadocia va visitata in silenzio al mattino presto come un pellegrinaggio interiore. Possiede un antico grammofono perfettamente funzionante che non vende ma ci fa ascoltare. Ci benediciamo reciprocamente per iscritto.
Tu sai quanto è grande il mondo?
Tu sai quali cose contiene?
Gente, gente, gente…
Cosa hanno fatto, cosa faranno…
Non si sono amati,
hanno detto che il tuo colore è diverso,
il tuo aspetto è differente,
hanno detto che la tua religione
e i tuoi rituali sono diversi,
hanno combattuto combattuto…
Tu sai cosa sta per succedere?
Il mondo è così grande, come possono conoscerlo?
Milioni di persone, ma piccole menti possono avere grandi pensieri.
Ho visto un piccolo villaggio
Gatti insieme ai cani, polli con le volpi
Vivono tutti insieme.
Come può la gente imparare a fare lo stesso?
Il mondo è enorme nella tua mente
e il piccolo villaggio è lì dentro di te.
Qualunque cosa tu abbia in mente,
se lo desideri, anche il solevi può sorgere.
Il resto del tour comprende le rocce e i siti più interessanti della valle di Goreme: Il padre, la madre e il bambino; il cammello; la madonna; le foche; i camini delle fate.
Il pranzo offerto dalla ditta è a AVANOS dove c’è un bel fiume pieno di papere. Il ristorante è ricavato dalla roccia e anche i tavoli sono di pietra nuda. Pare che in Turchia non usino le tovaglie. Naturalmente i drinks li paghiamo a parte.
Avanos è famosa per la lavorazione della ceramica. Un giovane maestro vasaio fa una teiera con coperchio in un minuto, a mano e a occhio. Il bello è che quelli bravi come il nostro fanno prima il coperchio e poi la teiera. Combaciano perfettamente. Rosa si offre come volontaria ma riesce a fare solo un grande pisello e un piatto bucato. Usano terra rossa o caolino indurito con quarzo perché è più fragile. SCI ci mostra l’arte della decorazione, della pittura e della cottura che sono le altre tre fasi del procedimento. Il prodotto finale è sempre bellissimo ma carissimo. Mi piaceva particolarmente la brocca di vino rotonda che gli antichi mettevano intorno alla spalla per versare il vino con un movimento del braccio. Acquistiamo invece qualcosa da ANIS, una donna con la cicatrice in faccia che ha una bottega vicino al ristorante. Regalo una brutta aquila con globo a Tony perché assomiglia a quella della SS. Lazio (si romperà durante il viaggio).
Il resto del pomeriggio lo passiamo visitando il villaggio abbandonato di Cavusin (pronunciato Ciauvusin) e nella Rose and Red Valley (per percorrerla dall’alto si pagano 3 TL), e finalmente all’Open air Museum di Goreme, dove invece il biglietto costa 15 TL perché ci sono le cose più interessanti: le chiese e le basiliche rupestri dei Padri cappadoci, gli eremi cenobitici di San Basilio; gli affreschi che testimoniano la fede di questa terra solitaria e silenziosa. La Kapadokia era e deve essere un luogo di silenzio (vero Crazy Alì?) e di preghiera. Gli affreschi sono andati rovinati brutalmente per l’iconoclastia, l’islam (che colpiva gli occhi) e la decadenza.
11. giorno – Venerdì 19 giugno – Goreme – Istanbul – 730 km
Giornata di viaggio per raggiungere Bisanzio-Costantinopoli-Istanbul, che significa, dal greco, “La città”, l’Urbe d’oriente. Dodici ore, prendendo ad Ankara la splendida autostrada che costa pochi euro, per arrivare alla tangenziale e ben quattro per entrarvi e riposare all’Otopark Kiliglioku in Nobethane Caddesi (pronunciato Giaddesi). Per 40 TL ci concedono due notti con turca e lavandino fatiscenti, ma siamo a due passi da Santa Sofia, la Moschea Blu e il Topkapi (pronunciato Topkap). Siamo a Eminonu, nel Golden Horn (Corno d’oro). La difficoltà ad entrare in città consisteva nel non riuscire a prendere il Ponte FSM (Fatih Sultan Mehmet), il secondo sul Bosforo, perché le indicazioni stradali con il disegno del ponte conducevano da un’altra parte e ci riportavano sulla tangenziale dal traffico che dire caotico sarebbe un eufemismo generoso. Miliardi di macchine ferme, anche per un piccolo incidente.
Istanbul ha ancora il fascino delle atmosfere mitteleuropee e ottocentesche. E’ un’altra Turchia: più ricca, occidentale, scafata. Non è un caso che appena varcato il ponte FSM abbiamo trovato scritto “Welcome in Europe”: è davvero l’ultima città europea e cosmopolita. Qui sono sempre gentili, ma è una gentilezza più interessata e commerciale.
Solo l’ignoranza che genera la paura può rifiutare l’ingresso di questo sterminato paese nella comunità europea. Ne guadagnerebbero tutti. Conosceremmo un islam normale che ci aiuterebbe a capire l’islam da cui ci difendiamo. Questa terra da sempre ha avuto contatti con noi. Per loro sarebbe bello entrare ma se Francia e Germania non li vogliono stanno bene come stanno. La Turchia per loro è un paradiso.
Il lungomare che percorriamo per 15 km prima di arrivare a Besiktas, Belyoglu, e infine Eminonu brulica di persone benestanti, Ferrari, gente con telefonino e autista. Ricorda la Dolce vita degli anni sessanta nostri.
La sera scendiamo al Ponte di Galata, che è il più antico dei tre del Corno d’Oro, a mangiare i famosi panini (panoni) di pesce arrostito (4 TL). Poi ci blocca Nuri il curdo (ultimo ristorante sul ponte) e finiamo la cena con due spigole e un po’ di frittura. (50 TL). I curdi sono giovani, comunicativi e simpatici. Dicono di essere la metà della popolazione: 12 milioni nella regione di Istanbul e 40 in tutta la Turchia. I turchi fanno altri calcoli e li riducono a pochi milioni in tutta la Turchia. Comunque la ristorazione, l’hotellerie e i taxi di Istanbul sono nelle loro mani.
La notte è tranquilla e anche il Nuri dell’Otopark è simpatico.
12. giorno – Sabato 20 giugno - Istanbul
Sveglia alle 7. Caffè all’Hotel Hotellino difronte all’Otopark dove prenoto uno splendido WC con bidet incorporato.
Alle nove siamo già dentro Santa Sofia con poca fila (20 TL). Il volto di Cristo mosaicato 1500 anni fa è magnetico. La Moschea blu è bella ma non mi dice niente.
Il Topkapi è imperdibile per capire la cultura e l’arte dei sultanati ottomani (altre 20 TL). Ma l’Harem è visitabile con ulteriori 15 TL e questo ci fa arrabbiare.
L’atmosfera tra i cinquantenni è sempre più pesante. Qualcuno ha deciso di lasciare il proprio orgoglio ferito e di parlare nel pomeriggio, ma il Gran Bazar li inghiotte, con i suoi 30.000 metri quadrati tutti coperti, le sue 21 porte, le centinaia di negozi senza l’atmosfera e i prezzi che cercavamo. Solo allo Spice Bazar si sentono gli odori e i suoni d’oriente. Non comprare al Gran Bazar ma nelle bancarelle che stanno fuori, del resto tutta la vecchia Istanbul è un gran commercio e si trova di tutto.
Ceniamo sulla stradina al finto ristorante di Dalmut e Oran, simpacitissimi giovani curdi che accolgono la gente per strada e la invitano a sedere ai tavoli davanti all’ingresso di una abitazione. Poi portano vivande cucinate altrove. Ma Dalmut ci tiene a precisare che l’Hotel a fianco è il suo. Comunque mangeremo sempre pesce con 10-15 euro a persona.
13. giorno – Domenica 21 giugno - Istanbul
Siamo troppo pigri per andare a San Salvatore in Chora (mosaici) e alla Moschea di Solimano. Preferiamo la gita in battello sul Bosforo (20 TL), che ci prenderà quasi tutta la giornata. La domenica il battello ha l’unica partenza alle 10.30 dal Ponte di Galata. In 90 minuti dovremmo percorrere i 30 km dello stretto che ci separano dal Mar Nero, ma una gara motonautica internazionale ci fa ritardare, così a A. Kavagi ci rimangono solo due ore per vedere e mangiare qualcosa (sempre pesce, 50 TL in cinque). A. Kavagi è la punta estrema a otto km dal Black Sea. Ripassiamo sotto il ponte FSM dove abbiamo penato il giorno prima, c’è meno traffico e possiamo ammirare la sua centina ad arcata unica. Alle 15 facciamo ritorno dopo aver ammirato e fotografato il Castello cristiano sul Bosforo e i ristoranti con vista che non abbiamo visto prima perché ci siamo accontentati si uno strano locale al porto dove non si poteva bere birra.
Durante il viaggio i cinquantenni cercano di parlare dopo aver fatto una foto romantica al Castello. Si dicono duramente ma serenamente i reciproci malumori. Siamo al capolinea. Lei pensa che lui è egoista e bugiardo. Giustamente come può vivere con lui? Lui cosa pensa di lei? Lo scriverà un’altra volta, Istanbul si avvicina inesorabile.
Il resto del pomeriggio lo passiamo nel fiume umano di ISTIKLAL CADDESI, lo struscio della moderna Istanbul a Beyoglu (che significa Figlio del Governatore).
Prendo una grande sòla a un bar di Galata Tower dove pago un caffè espresso 3 euro e mi rifiutano il cesso.
Naturalmente c’è tanta gente che ci perdiamo. Noi con Tony prendiamo messa turca a Saint’Antoine alle 19. La mattina alle 11.30 ce ne è una in italiano. I sessantenni dispersi si rifugiano dai domenicani di San Paolo che li accolgono calorosamente e recitano vespro insieme a un ingegnere genovese che sta qui da 15 anni.
Ultimi acquisti per smaltire le Lire turche. Troviamo magliette finto-Lacoste a 5 lire e profumi di marca a 10 euro (finti anche loro?).
Ceniamo da Oran e Dalmut. Mangiamo pizza turca, che è buona ma costa più del pesce, perché c’è l’Italia che ne becca 3 dal Brasile alla Confederation cup sudafricana. I curdi hanno preparato la bandiera italiana ma dobbiamo ammainarla presto, mentre tre polacchi si scolano una bottiglia di vodka e una bella americana con marito mi sorride ammiccante.
Aggiungiamo 10 TL a Nuri perché partiremo nella notte e giustamente ci ricorda che sarebbero tre notti passate all’Otopark.
14. giorno – Lunedì 22 giugno – Istanbul – Thasos – 500 km
Partiamo alle 4.30 per evitare il traffico e viaggiare con il fresco. Alle 8.30 siamo alla frontiera con lo Yunanistan, come i turchi chiamano la Grecia. Facciamo colazione a Komotini. Abbiamo già percorso 360 km. A KERAMOTI prendiamo al volo il traghetto per L’isola di Thasos (40 euro) che ci impiega 45 minuti. Due italiani conosciuti in traghetto mi avevano decantato la bellezza della spiagge dell’isola. Ci dirigiamo verso Limenaria che dista circa 40 km dal porto di Thasos. Alloggiamo al Camping Pefkari, sul mare (28 euro).
I cinquantenni vanno meglio. Dialogare fa sempre bene anche quando non si trova l’accordo: almeno si conoscono le ragioni dell’altro. Si abbracciano.
Finalmente rimangiamo pasta dopo il pesce e la carne turca. Apriamo il tendalino per la prima volta per la notte. Poco dopo diluvia e grandina of course.
15. giorno – Martedì 23 giugno – Thasos – Meteora – 500 km
Andiamo a fare spesa con Tony a Potos con la bicicletta. Decidiamo di prolungare di qualche km e troviamo una baietta isolata con una scarpatina di olivi. Faccio il bagno nudo (non ho il costume). Tony è molto contento mentre Rosa è di nuovo imbronciata al ritorno. Pino trova nuove cozze che Rosa cucina in un non scontato risotto con i fagioli. Ripartiamo alle 17. Traghetto alle 18.25. Ci aspettano le Meteore e 350 km. La strada in realtà è molto più lunga. Pernottiamo sulla Egnatia Odos e l’indomani mattina raggiungiamo la Grande Meteora (Uscita Panagia)
16. giorno – Mercoledì 24 giugno – Meteora-Igoumenitsa – 180 km
Piove, è la prima volta che lo fa di mattina. Accostiamo per la colazione sotto al monastero di San Nicola e scarichiamo le foto sul computer. Quando smette ci inerpichiamo per una visita panoramica ai sei monasteri attivi oggi nella Meteora, fino ad arrivare alla Grande Meteora della Trasfigurazione (XIV sec.) dove avremmo dovuto parcheggiare per la notte. L’ingresso costa 2 euro. Dopo Monte Athos qui è il cuore dell’Ortodossia greca, dura, pura e nazionalista, anima della nazione greca durante e dopo l’indipendenza del 1821. La costruzione è notevole, prima di tutto per la posizione, in cima a questi speroni rocciosi che si elevano come monoliti nella piana della Tessaglia, meteoriti piovute dal cielo. Poi per il Katholikon, la chiesa completamente affrescata con la sua iconostasi che illustra tutta la teologia cristiana per chi non sa leggere, l’ossario con i teschi accatastati sulle mensole per ricordare che la santità non si estingue con la morte, il museo delle icone del XV sec. Dove è possibile ammirare in un solo colpo tutti i temi classici dell’iconografia orientale. Peccato che l’aspetto turistico sia prevalente. Chiedo a un monaco di pregare assieme ma cortesemente mi fa notare che c’è la messa della domenica, per il resto loro pregano quando i turisti se ne sono andati alle 5 e durante la giornata vendono ricordini. Questi monasteri isolati erano abitati da parecchi monaci a giudicare dalle dimensioni del refettorio e della cucina. Nel refettorio, con dei tablò, è condensata la dottrina ortodossa che non è molto differente dalla nostra, eccetto per il tono apodittico. Dei sei monasteri riusciamo a vederne 5. Con Tony ci inerpichiamo a piedi per vedere quello di Santa Barbara ma dopo la scalata scopriamo che è chiuso per il giorno di riposo.
Durante il pranzo facciamo conoscenza con una coppia di inglesi che vivono a Malaga e stanno facendo un tour di sei mesi con i loro quattro figli piccoli. Hanno un camper americano Warrior. Gli diamo alcune dritte per la Turchia e ci ringraziano. Dove rimediano i soldi per un giro così lungo? Che lavoro fanno? I bambini come vanno a scuola? Sono interrogativi che alimentano le nostre discussioni ma rimangono senza risposta. Lui, Jamie, è comunque figlio di un professore di Oxford.
Alle 17 partiamo per Igoumenitsa dove ceniamo in camper al porto mentre il sole tramonta sul nostro ultimo giorno in terra straniera. La nave che ci riporta in Italia parte con un’ora di anticipo e noi siamo pronti per prendere una buona posizione a poppa, per prendere aria fresca durante l’open deck che si rivelerà difatti migliore dell’andata.
Il più bello dei mari non è stato navigato
17. giorno – Giovedì 25 giugno – Brindisi – Roma – 610 km
Rinunciamo all’idea di fare il bagno a Mattinata per arrivare prima a casa. A Torre Canne ci infogniamo in un ficheto per scaricare le acque chiare e incastriamo il camper tra le pietre dei muretti divisori delle proprietà, danneggiando lievemente la porta e la fiancata destra. Mangiamo a Caserta e alle 18,30 siamo a casa dopo 11 ore di viaggio. Quasi tutti siamo contenti di poter rivedere i nostri cari e riposare un po’ ma nel cuore di qualcuno riaffiorano le parole del grande poeta turco Nazim Hikmet (1942) che alimentano l’eterno desiderio di viaggiare per conoscere e per amare:
I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti
E quello che di più bello vorrei dirti non te l’ho ancora detto
[1]Don Andrea Santoro+5 febbraio 2006. In: Valentino Salvoldi, Andrea Santoro. Bologna, EMI, 2006, p.28