Sembrava una coreografia a comando, era la vigilia di Natale e verso sera, si era messo a nevicare.
L’atmosfera, adesso era veramente quella giusta, fino a quel momento non avevo percepito nulla, ci si stava solamente e nuovamente catapultando in quel vortice di sfrenato consumismo che veniva, ancora insistentemente, chiamato Natale.
Non sentivo più da anni quella sensazione che di solito accompagnava l’avvicinarsi delle feste.
Gli odori tipici di dolciumi e preparativi erano rarefatti e coperti da altri molto peggiori.
Lo smog del traffico, la gente sudata, con il loro alito sull’autobus, la puzza della discarica e in ultimo…l’odore di ospedale.
Erano gia diverse settimane che mi recavo costantemente da mio padre, era stato ricoverato per un problema cardiaco che, per fortuna, si stava ormai risolvendo.
In quei giorni, l’ospedale stava cercando di sembrare meno sofferente ma, era pur sempre lì che si concentravano tutti i peggiori mali e tristezze che affliggevano quella parte di umanità.
Per l’altra, quella fuori, era un problema da tenere, nel limite del possibile il più lontano che mai.
Le infermiere erano state molto gentili, nel reparto non più intensivo ci avevano permesso, ad alcuni di noi familiari, di restare con i nostri malati ad aspettare la mezzanotte, in barba al regolamento eravamo rimasti nella saletta visite in pigiama, vestaglia e ciabatte, a guardare la televisione e a chiacchierare tra noi, qualcuno aveva portato dei pasticcini secchi, un pandoro e…anche quella in barba al regolamento, una bottiglia di spumante con i bicchieri di carta.
Qualche malato solo, tra quelli meno provati, si era unito a quel “pigiama party” improvvisato e velato di tristezza tanto per stare in compagnia.
Allo scoccare della mezzanotte, il tappo è comunque saltato, tra il personale e noi parenti è stata finita la bottiglia, sono passate strette di mano e abbracci e anche qualche magone ingoiato con il restante spumante e poi…pian piano abbiamo accompagnato a letto i nostri cari…il giorno di Natale era stato compiuto.
Era mezzanotte e quaranta, non nevicava più ma una forte gelata attanagliava Bologna, le luminarie intermittenti delle decorazioni natalizie festonavano le finestre dei palazzi e le luci dei cenoni di vigilia riscaldavano quei quadri incorniciati.
Rabbrividivo nel freddo ma stavo facendo volentieri quei passi nella notte che mi separavano dalla mia auto, stavo cercando di togliermi di dosso l’odore del reparto e della mia malinconia.
Stavo percorrendo il piazzale antistante il padiglione maternità del Sant’Orsola quando, da un’auto privata appena arrivata è scesa una donna vistosamente incinta sorretta probabilmente dal suo compagno che entrava nel pronto soccorso ostetrico. Un infermiere con una sedia a rotelle stava sopraggiungendo in tutta fretta. Li ho visti sparire tutti dietro la porta a vetri, e gli ho inviato mentalmente i miei auguri.
Continuando a camminare mi sono accorto che stavo pensando a Gesù.
Mi sono sempre chiesto se è nato subito dopo mezzanotte o più verso il 26 dicembre, che sò magari alle 23,55 del giorno di Natale, comunque…in quella famiglia che avevo appena visto…un altro bambinello stava per arrivare ed immediatamente mi sono reso conto che dopo tutto, non sempre l’ospedale era sinonimo di dolore…faceva parte del cerchio della vita.
Oggi è il mio onomastico, le festività mi toccano mio malgrado, tra poco andrò da mio padre che mi farà gli auguri ma…ne ha più bisogno lui.
Stefano
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Modificato da tott i de il 26/12/2011 alle 13:13:21