Inserito il 08/03/2012 alle: 15:23:24
Corsica, lontano 15 agosto 1987:
Durante la nostra vacanza quella sera ci trovammo ad arrivare a Porto, incantevole (dicono, perchè non l’abbiamo mai visto) paesino sulla costa nord occidentale. Si era fatto buio, e proseguire il viaggio era impossibile, viste le strade strette, a fianco di dirupi senza guard-rail da un lato e rocce spioventi dall'altro, in ogni direzione (costa nord, costa sud, interno est).
La strada era disseminata da cartelli che minacciavano il "camping sauvage" severamente "interdit". Ma l'unico campeggio era saturo, e di fronte c'era uno spiazzo con pineta antistante la spiaggia, con un locale all'aperto e cantante dalla voce straziante che si esibiva con altoparlanti a tutto volume. (Capirai, la sera di Ferragosto..)Insieme ad un'altra ventina o forse più, di camper (quasi tutti italiani) ci eravamo posizionati nel parcheggio fronte pineta, non sapendo dove andare altrimenti (senza contare i saccopelisti sotto la pineta). Non si riusciva a dormire, a causa della musica, il caldo era soffocante e tenevamo tutte le finestre spalancate. Verso l'una di notte ecco entrare dal finestrone posteriore la luce accecante di un potente faro. "Gendarmerie!" Mentre sotto la pineta era tutto un frusciare dei saccopelisti che raccoglievano la loro roba e si eclissavano, ci chiesero i documenti, io frastornata mi alzai dal letto (con le sole mutande, illuminata in pieno dal faro), allungai una mano dentro l'armadio e tirai fuori la pila dei nostri passaporti. Si accontentarono di guardare solo il primo della pila, quello casualmente di mio marito. Mio marito non conosce il francese, mio fratello e mia cognata che erano con noi e parlano francese si erano appartati in bagno a mettersi le lenti a contatto (perché loro se non ci vedono bene non riescono neanche a parlare bene ??)mentre io, conscia di essere ancora in mutande, mi infilavo una canotta: Così iniziò un’assurda conversazione fra il gendarme fuori dal finestrone che faceva domande in francese e mio marito, in mutande pure lui, sdraiato sulla cuccetta trasversale di poppa, su un fianco, come un antico romano sul triclinio, che rispondeva in bolognese (intenzionalmente).
Domanda dalla traduzione intuibile “perché vi siete fermati qua?”
Risposta: “Par durmìr”.(traduzione: per dormire)
Domanda (traduzione) “sapete che è vietato?” Risposta “ an savevam brisa in dof andèr” (Traduzione: non sapevamo dove andare)
Domanda: “perché no siete andati nel campeggio?” Risposta “L’era tòt pen” (era tutto pieno)
Domanda (sempre tradotta): “ capisci il francese?” Risposta “Me no!” (io no!)
Domanda. “Che lavoro fai?” Risposta “Tornitore”
E poi scrissero qualcosa su un quadernone con l’annotazione che non conoscevamo la lingua francese.
Per finire ci intimarono “vit vit” di andarcene. Dove? Dove ci pareva, basta che ce ne andassimo. Eravamo stati i primi della fila. Fortunosamente trovammo ad un chilometro una rientranza sulla strada per Piana, e fino alle cinque del mattino vedemmo passare camper che lentamente si allontanavano da Porto. Il mattino dopo decidemmo di “saltare” Porto.
Dopo due anni suonò alla porta un cancelliere del Tribunale di Bologna, con una ingiunzione a mio marito (solo a lui che tra l’ altro non era neanche l’intestatario del camper), che nel documento era diventato di professione “agricolteur”, di presentarsi al Tribunale di Ajaccio il 22 aprile 1989 per discutere l’ammenda, con tanto di nomina di difensore d’ufficio, il tutto scritto sempre in francese.
Mandammo una lettera, scritta rigorosamente in italiano, al giudice ed all’avvocato nominato d’ufficio citati sul documento, spiegando che mio marito non aveva la possibilità di essere presente, che ci comunicassero a quanto ammontava la multa ed avremmo provveduto a pagarla.
Non abbiamo mai ricevuto alcuna risposta, mio marito non è più voluto tornare in Corsica, ed ancora oggi mi rinfaccia di aver dato al gendarme il suo passaporto, dei quattro che eravamo.
Ciao Anna