Inserito il 04/10/2014 alle: 11:55:52
Era una situazione nuova e sconvolgente.
Anjia inconsapevolmente aveva aperto il Vaso di Pandora e le emozioni erano fluite impetuosamente, mescolate tra loro ma allo stesso tempo pure, potenti e soprattutto inarrestabili.
Gioia, eccitazione, senso di appartenenza, attrazione, gelosia, appagamento… invadevano il suo essere come la marea. Quando un’emozione si ritirava ecco che un’altra montava e ne prendeva il posto.
Lui si era gustato tutto quello che arrivava o, almeno, aveva cercato di farlo anche se il più delle volte erano sensazioni così vaste che non riusciva a vederne i confini.
Lei era una donna adulta, molto più grande di lui, padrona di se stessa e della sua vita ed era il risultato del suo passato mentre lui aveva solo le sembianze di un uomo ma non le difese e aveva vissuto sino a quel momento di sentimenti presi a noleggio come si noleggia un vestito a carnevale.
Non aveva mai conosciuto l’amore per una donna, aveva solo interpretato la parte dell’innamorato e neppure sapeva cosa significasse fare l’amore perché, sino ad allora, aveva solo fatto del sesso, raramente e in modo piuttosto rudimentale.
Anjia aveva rotto i sigilli della sua anima, l’aveva tolta dalla confezione e da quel momento lui ebbe la consapevolezza che non sarebbe stata più in garanzia, non ci sarebbero state sostituzioni se si fosse rotta.
Ne aveva una sola e avrebbe dovuto durare una vita ma era ancora un ragazzo e non aveva prudenza nel vivere la gioia ne protezioni efficaci contro il dolore.
Andava a tutta manetta e non staccava neanche in curva con la sfrontata sicurezza di avere opzioni illimitate davanti a se ma senza sapere che illimitate erano anche le possibilità di scegliere l’opzione sbagliata.
Quel pomeriggio il dolore arrivò puntuale, era atteso.
Quando dallo zaino prese la busta di plastica trasparente dove custodiva il denaro e i documenti ebbe la conferma che stava lasciando Hastings e si sarebbe separato da Anjia.
Gli tornò alla mente la sera che, rientrato da Senlac Hill, era andato al ‘Pig in Paradise’ con la lucida premeditazione di suicidarsi con un’overdose di sesso con la proprietaria del locale.
Sorrise perché gli sembrava che quell’uomo che vedeva in lei solo un bel pezzo di carne di cui cibarsi non fosse lui. Non erano passate neppure due settimane eppure gli sembrava di essere diverso. Sicuramente migliore rispetto a prima di entrare al ‘Paradise’.
Quello che provava per Anjia era qualcosa di nuovo e capiva che quando si sarebbe separato quel qualcosa non sarebbe rimasto a Hastings ma sarebbe partito con lui e questo era un bene ma gli avrebbe fatto un gran male.
Stava imparando sulla sua pelle che le emozioni e i sentimenti non sono in omaggio e neppure a buon mercato, la vita ti chiede un prezzo per concederteli e accetta in pagamento solo due valute, Gioia e Dolore.
Salutò Mrs Eleanor. Lei gli porse la mano e lui la strinse nella sua. Si era affezionato a quella signora. Gli sarebbe mancata e forse, solo forse, gli sarebbero anche mancati la sua colazione, i malefici gatti, la stanza che aveva occupato e la finestra della cucina dove all’ora del tea che aveva imparato a bere faceva rapporto a Mrs Eleanor sulle sue avventure del giorno prima. Ometteva accuratamente di raccontare i dettagli delle sue notti a Mrs Eleanor ma lei era stata per più di quarant’anni il postino di quella cittadina e quindi non aveva bisogno che lui le raccontasse i @a77i suoi perché lei ne venisse a conoscenza… probabilmente li conosceva meglio di lui.
Percorse il piccolo vialetto che portava alla strada dove Anjia lo stava aspettando in auto, si voltò e salutò con la mano Mrs Eleanor dando un ultimo sguardo a quella casetta che non avrebbe più rivisto… “Ma che @a77o te ne frega? I ricordi esistono apposta no? Per tornare nei posti dove non tornerai più…” Sapeva che quella affermazione era applicabile anche alle persone che non avrebbe più rivisto e il ricordo si sarebbe pian piano sbiadito nella memoria come una vecchia polaroid.
Anjia sorrideva mentre guidava, la gonna le era salita sopra le ginocchia. Le efelidi che le tempestavano le cosce sembravano più scure del solito e lui cercò di fissare nella sua memoria quel momento e quell’immagine che sarebbe andata a comporre insieme a tutte le altre il suo ‘album dei ricordi’.
Quando arrivarono alla stazione di Hastings non ci fu un solo momento di imbarazzo, scesero entrambi e lei lo strinse a se con naturalezza, come una fidanzata stringe il suo fidanzato per un arrivederci che prelude a un bentornato.
Nel loro caso era tutto maledettamente più semplice… era un viaggio di sola andata, c'era solo un addio e non avrebbe potuto ne dovuto essere diversamente.
La baciò e quando si staccarono lei gli mise entrambe le braccia intorno al collo e ficcando i suoi occhi celesti in quelli di lui disse… “Take care of yourself Mark…”. Lui annuì ma non riuscì a dire niente.
Rimasero alcuni secondi a fissarsi, era il loro modo per tentare di dirsi le cose superando le barriere linguistiche, aveva sempre funzionato e funzionò anche quell’ultima volta.
Poi lo sciolse dall’abbraccio e risalì in macchina. La vide partire, fare inversione e mentre ripassava davanti alla stazione lui alzò la mano per un ultimo saluto che lei non ricambiò se non con uno sguardo che era, per una volta, privo di sorriso.
Era ancora a Hastings ma era come se fosse già partito. Sentì una fitta di dolore dentro, Anjia staccandosi aveva preso qualcosa di lui lasciandogli un vuoto che lui avrebbe cercato di colmare con quello che aveva preso a lei.
Aveva gli occhi lucidi, si mise gli occhiali sebbene non ve ne fosse alcun bisogno viste le nuvole cupe che incombevano e prese le cartine dal taschino del giubbotto e la busta del tabacco.
Quando l’aprì vide che c’era un cartoncino. Lo estrasse e rimase impietrito nel riconoscere la foto che aveva fatto ad Anjia un paio di giorni dopo l’inizio della loro storia… erano sul Pier, sullo sfondo l’oceano e Anjia in primo piano con indosso il suo giubbotto di jaens.
Nella foto sorrideva cercando di tenere il viso sgombro dai capelli che il vento le scompigliava.
Gli occhi celesti erano in contrasto con il cielo grigio alle sue spalle. Girò la foto… “I hate that sadness in your eyes… Anjia.”
Era un passaggio di ‘Angie’ dei Rollings Stones che tra un droga-party e l’altro trovavano il modo di scrivere poesie.
Lei aveva selezionato quel pezzo dal jukebox del ‘Paradise’ la prima notte quando, rimasti solo loro due, aveva chiuso il pub e avevano ballato.
Mentre si stringeva a lui gli aveva detto… “Così prima di baciarmi saprai come si pronuncia il mio nome…”
Non resse a quel primo ricordo che strideva così forte con l’ultima immagine che aveva di lei che se ne andava in macchina.
Pianse, senza una smorfia sul viso, con lacrime grandi che si rincorrevano sulle guance ispide di barba.
Non se ne curò. Mise la foto nella tasca interna del giubbotto. Se l’avesse guardata per un secondo ancora sarebbe tornato da lei.
Rollò la cartina e la sigillò poi sfregò il cerino e lo portò alla cicca, solo in quel breve istante si rese conto di come gli tremavano le mani. Tirò forte e inspirò profondamente sperando che la ‘cannonata’ di nicotina mettesse un limite al suo stato emotivo. La ‘cannonata’ arrivò e fu seguita dalla seconda in rapida sequenza ma non ci fu un @a77o da fare.
D’altra parte se il tabacco avesse avuto il potere di calmare il dolore dell’amore le sigarette sarebbero state molto più costose.
Lo zaino era pesante come la sua anima con la sola differenza che il primo avrebbe potuto toglierselo di dosso o alleggerirlo, la seconda no.
Si lasciò lentamente alle spalle qualcosa che era tanto di più di una cittadina del Sussex.
Si lasciò alle spalle Anjia anche se sapeva che, in qualche modo, non l’avrebbe mai lasciata indietro.