Inserito il 08/10/2014 alle: 21:23:23
Il conoscente di Pà era sicuramente un discendente diretto di qualche comandante di nave negriera.
All’interno del reparto torcitura di quella piccola industria tessile il rumore che centinaia di rocchetti producevano era infernale, sembrava il rombo di tuoni che viaggiavano su rotaie d’acciaio… questo era il lato positivo.
Quello negativo era dato dal fatto che l’umidità all’interno del capannone era superiore al 90% in modo che il filato che si avvolgeva a velocità folle non si seccasse e, di conseguenza, rompesse.
Il suo lavoro consisteva nel prendere da una cassa gli anelli e controllare che non fossero usurati perché avrebbero potuto spezzare i fili che vi scorrevano dentro.
Gli anelli buoni finivano nella cassa verde e fungevano da ricambi, quelli rovinati in quella rossa. Finita di controllare una cassa prendeva gli anelli ancora utilizzabili e li portava sul bancone dove gli operai addetti alle macchine venivano a prenderli al bisogno e ritirava un’altra cassa di anelli da passare al setaccio.
Quando anche la cassa di anelli usurati era piena la portava in officina dove sarebbero stati rettificati.
Cassa verde, cassa rossa, cassa verde, cassa rossa e via per “… qualche ora…” come aveva detto, mentendo sapendo di mentire, Pà.
Faceva ‘giornata’, entrava alle otto e usciva alle quattro e trenta… mezz’ora di pausa per mangiare. Tutti i giorni dal lunedì al sabato per un ‘salario’ di quattromila lire al giorno.
A fine turno era rintronato e spossato dall’umidità.
Si toglieva la t-shirt e i jeans, li strizzava come si fa con una pelle di daino poi indossava vestiti asciutti e usciva il più velocemente possibile dall’inferno.
Il gioco di Pà era volutamente scoperto… voleva spingerlo con le buone o con le cattive a iscriversi all’università.
Effettivamente quell’opzione gli aveva sfiorato più di una volta la mente, soprattutto quando entrava in reparto e veniva sopraffatto dal caldo umido e dal frastuono, ma avrebbe resistito. Non lo avrebbe fatto per sfida verso il suo Vecchio ma perché era convinto che qualunque strada avesse scelto, in quel momento della sua vita, non sarebbe stata quella giusta.
Se un domani si fosse pentito di qualcosa avrebbe voluto farlo incolpando se stesso e non qualcun altro.
Avrebbe resistito tutto il tempo necessario, non un istante di più ma nemmeno uno di meno.
Nella mattinata del nove gennaio gli fu recapitata la ‘cartolina’ e in quella del dodici finì di stringere le cinghie del suo zaino acquistato a Portobello meno di sei mesi prima.
Lanciò un’occhiata panoramica a quella che era stata la sua stanza da ragazzino poi da adolescente e infine uomo.
Guardò i poster appesi alle pareti… i Pink Floyd, i Beatles, Barry Sheene in piega con la faccia di Paperino sul casco, Marylin e James Dean che si guardavano da anni da una parete all'altra.
Guardò i suoi libri di scuola, la scatola dei ricordi, il portafoto con lui, all’età di nove anni, tra Pà a Mà che sorridono felici a San Marino.
Guardò la sua scrivania e il suo Marantz con sopra un disco dei Rolling Stones.
Guardò il suo letto, dove aveva immaginato di trombarsi l’ottanta per cento della popolazione di sesso femminile che aveva incontrato sino ad allora…
Sapeva che quando vi fosse ritornato quella stanza sarebbe stata uguale ma anche, ai suoi occhi, molto diversa.
Quello che non sapeva era che in quella stanza non sarebbe tornato per molto più tempo di quello che immaginava.
Uscì senza chiudersi la porta alle spalle… il ‘fortino’ non poteva più essere difeso per cui tanto valeva lasciarlo in modalità… ‘Accomodati Mà’.
Alla stazione i saluti furono il momento più imbarazzante, Mà piangeva come un’orsa a cui avevano rapito il cucciolo.
Pà era ingessato dall’imbarazzo… non sapeva se porgere la mano a quel figlio ormai uomo o abbracciare quel figlio ancora ragazzo.
Fu lui a rompere gli indugi. Avvolse entrambi i suoi in un unico forte abbraccio che mancava da tempo a tutti e tre e che avrebbe ricordato a lungo.