Inserito il 26/01/2011 alle: 17:00:26
Il Carnevale di Ascoli Piceno
dal 3 all'8 marzo 2011
Un carnevale territoriale
Provate a fare il gioco dell’associazione d’idee con qualcuno che non sia ascolano; ditegli: a cosa associ il Carnevale? E quello, deciso: maschere, musica, ballo, teatro, carri allegorici, coriandoli. Il che è verità. Ma all’ascolano questa verità va strettissima; lui, infatti, il Carnevale lo vive in modo radicalmente suo. Certo, anche con coriandoli, maschere e compagnia cantando ma, per lui Carnevale significa fare soprattutto l’attore e il regista di se stesso. Cosicché l’etichetta di “Gente invidiosa e folle” che Cecco incollò ai suoi concittadini otto secoli fa, nel secondo aggettivo c’è tutta perché l’ascolano giovane o anziano, donna o uomo, a Carnevale va in follia: una follia, però, calcolata, inquadrata, equilibrata. E concentrata. Concentrata massimamente sull’evidenziazione burlesca delle peculiarità locali, sulla vita che ogni giorno scorre all’ombra delle torri e al sole delle piazze, sui propri difetti e scivolate, mai sui propri meriti. Una vera presa in giro di se stesso, di chi gli vive accanto, del potente di turno. Una plastica messa in risalto di situazioni sociali: di proverbi dialettali di cui si nutre la quotidianità; di eventi che hanno fatto ridere, discutere, arrabbiare, che insomma hanno tenuto banco. E allora eccolo, l’ascolano, dare sfogo alla sua estrosità vestendola di allegria; di discorsi proposti non da dietro l’anonimato di una bautta ma a viso scoperto; di silenzi mimati eppure saturi di eloquenza; di bravura nel saper coinvolgere la numerosissima platea che sotto i maestosi lampadari; a gocce o gioiosamente arlecchinati in sintonia ambientale, si riversa nel centro storico.
Dunque, non una città in maschera come tante altre. A Carnevale, infatti, Ascoli non è più una città ma un ampio palcoscenico dove, come evidenziavamo, si recita la storia locale e la si usa per esternare i vitali contenuti della sua anima sommersa. Antichissimo il Carnevale ascolano: diretto discendente dei Saturnali per una questione etnico-storica (notizie provate risalgono però solo al Rinascimento), nel tempo ha assunto una fisionomia sui generis connotata da originalità (talvolta vera e propria genialità) senza pari: far parlare, dicevamo, il proprio vissuto, sviscerandolo scherzosamente sopra, sotto, davanti, dietro, attorno.
Il primo a parlare, a coinvolgere tutti mettendo pizzicorino negli arti e nella fantasia è lo splendido manifesto che annuncia il Carnevale e, veicolo turistico irresistibile, convoglia anche da altre regioni gente non solo spettatrice ma addirittura attrice. Già, perché chi ha assistito a un Carnevale ascolano ne rimane a volte così colpito da organizzarsi in proprio e partecipare: ed ecco Pescara, Urbino, L’Aquila inserirsi, nella confusione con o senza maschera, perché in Ascoli si può fare Carnevale anche con l’abito di tutti i giorni, è sufficiente avere in sé il gusto della satira intelligente. Il che non è poco. Certo, solo chi vive in Ascoli può comprendere le sfumature, la riproduzione esilarante di persone o circostanze ma la capacità dell’ascolano in maschera è eccezionale nel coinvolgere il forestiero e questo, preso nel vortice di una goliardia estemporanea, sta allo scherzo (mai disturbante), si sente protagonista, cittadino a pieno titolo di una città volutamente e gaiamente impazzita. C’è posto per tutti, nessuno si sente escluso. Come nessuno si risente dell’innocente berlina cui magari capita di dover sottostare e non perché “ a Carnevale ogni scherzo vale” ma perché chi va in piazza a carnevale sa quello che lo aspetta e lui … non aspetta altro!
Non bastano le mascherate? Ecco allora le tavolate e, ditemi, chi può resistere alla saporosità dei ravioli “cace e cannella”, al fuoco del vin brulè o dei dolci? E poiché “quanne lu cuorpe sta bbè, l’anema canta” (iscrizione lapidea ascolana) ecco l’ingrediente gastronomico a far cantare, a Carnevale, ascolani e non. Tutti insieme, appassionatamente.
E se da Ascoli s’ode uno squillo di tromba, da località limitrofe risponde uno strillo, anzi tanti strilli: sono i giovani di Offida con i loro fasci infuocati (“lì velurd”) o che, guazzaronati, in un turbinio bianco e rosso corrono dietro a “lu bove finte”. Anche nella deliziosa cittadina dell’entroterra il Carnevale si svolge lungo paramenti personali così come avviene in altri centri vicini (Castignano, per esempio). Un Carnevale territoriale, dunque, risaltante nel panorama nazionale per l’essere, prima ancora che una mascherata, una commedia di strada dove l’unica accademia propedeutica è lo spirito satirico del cittadino e il suo desiderio di dare corpo ad esso e ai numerosi simbolismi della cultura locale. Un Carnevale che, iniziato con la domenica “degli amici” cui fa seguito quella “dei parenti”, arriva alla settimana “grassa” secondo un calendario irrinunciabile e secolare ma attento ai ritmi passanti del tempo.
Mai, dunque, un Carnevale ripetitivo nell’inventiva ma, anno dopo anno, rinnovante se stesso e il desiderio altrui di parteciparvi.